Associazione Marx XXI, Ferrara 16 dicembre 2010
Intervento di Francesco Barigozzi, segreteria della Camera del Lavoro di Ferrara
Innanzitutto, ritengo utile premettere alcune informazioni sul lavoro che svolgo. Nella CGIL emiliano-romagnola, appartengo al ristretto gruppo degli organizzatori puri, ossia quelle persone che gestiscono tutti gli aspetti organizzativi delle Camere del Lavoro, legati alle risorse, alla politica dei quadri, alla gestione della tutela individuale (servizi), fino alla gestione materiale degli uffici.
Quelli come me tendono a vedere prevalentemente gli aspetti di quotidianità del sindacato in rapporto con le richieste di base della nostra gente.
Detto questo, da cosa partiamo? Io partirei dal 16 ottobre e dal 27 novembre 2010, dalle manifestazioni di Roma, indette da Fiom e da Cgil, dove sono scesi in piazza donne e uomini che quotidianamente lottano per sopravvivere economicamente.
Il 16 ottobre ed il 27 novembre a Piazza S.Giovanni si è parlato di lavoro, ma si è anche parlato tanto di democrazia e di civiltà. Da questo punto di vista quindi sono state una manifestazioni politiche, nel senso più alto del termine.
Io partirei da qui: il lavoro e le sue condizioni, come motore di civiltà e come elemento caratterizzante dello stato di salute della democrazia.
Intanto, la crisi economica globale. Non è una crisi di crescita, di contrapposizione tra un occidente che invecchia ed un oriente che cresce a velocità smisurata. E’ una crisi generata da un’abnorme utilizzo di strumenti finanziari spuri, dall’illusione di accumulare ricchezza virtuale con speculazioni fondate non su denaro agganciato a beni reali ma su denaro agganciato a debiti.
Le condizioni che hanno permesso questa degenerazione ci sono ancora tutte, ciò determina alcune conseguenze che possono interessarci oggi.
1. La più ovvia: il fenomeno può ripresentarsi ancora, noi siamo indifesi.
2. I danni procurati dal crollo finanziario all’economia reale sono così devastanti che nessuna crisi potrà essere superata con il ripristino delle condizioni precedenti. (O crisi permanente o permanente attesa della prossima crisi).
3. C’è chi dalla crisi ha imparato a cavalcare ondate di macrospeculazione capaci di mettere in ginocchio interi Stati e quindi anche a specularci su (Grecia, Portogallo, Irlanda, …)
4. Altri (o sono gli stessi) hanno imparato che la crisi è utilizzabile per avvilire le condizioni di lavoro dove queste sono più alte, e per delocalizzare le produzioni dove le condizioni sono basse.
5. In Italia, molti hanno capito che l’avvilimento delle condizioni di lavoro, e quindi di democrazia economica, è la premessa più efficace alla chiusura degli spazi di democrazia politica.
6. La UE ha imboccato la strada, voluta dalla Germania, di regole condizionanti i bilanci pubblici, tese ad abbassare il rapporto tra debito e PIL, per portare questo rapporto al 60% massimo; questa scelta rischia di avere ripercussioni molto gravi sul welfare e in generale su tutto il modello sociale europeo conosciuto in questi anni, fondato sulla protezione sociale e in particolare sulla tutela del lavoro.
7. Molti Paesi, Italia in testa, hanno messo in campo in questi due anni pesanti tagli alla spesa pubblica corrente, quindi l’effetto dei tagli ulteriori porterà conseguenze pesanti non solo sui sistemi di welfare, ma anche rilevanti effetti depressivi sui consumi e sull’insieme dei sistemi economici.
Ciò che la maggioranza politica in Parlamento, ma soprattutto il ceto dominante in Italia oggi sa, è che non siamo di fronte ad una fase economica difficile, ma comunque leggibile, ed interpretabile attraverso strumenti culturali consolidati.
Ciò che si vuol far credere è che si sono messi in discussione pilastri importanti del diritto sindacale, del diritto del lavoro, del diritto civile e persino del diritto costituzionale, a favore di un nuovo e più moderno sistema economico-sociale fondato sul liberismo, sulla flessibilità, sulla deregolamentazione.
In realtà la più forte preoccupazione del blocco sociale dominante, prima ancora del rilancio delle produzioni, è come sfruttare fino in fondo l’occasione offerta dalla crisi economica per recuperare potere nei luoghi di lavoro, a scapito dei diritti dei lavoratori.
Per questo uno dei punti importanti del programma del blocco sociale dominante oggi è la demolizione del sistema di relazioni sindacali, la quale a sua volta passa attraverso la demolizione della CGIL.
La demolizione della CGIL viene concretizzata su diversi piani:
Economico-organizzativo: taglio delle pratiche con compenso statale dei Caaf (red,730); taglio dei finanziamenti ai Patronati a fronte di un aumento dei compiti (migranti); taglio dei distacchi retribuiti.
Contrattuale: firma separata dell’accordo quadro sulla struttura contrattuale; firma separata contratto metalmeccanici; Pomigliano e dintorni; ma anche il sostanziale blocco delle dinamiche contrattuali nella FP.
Politico: tentativo di far passare un modello di sindacato svilito a soggetto istituzionale, che vive attraverso la presenza in strutture bilaterali e non attraverso la libera rappresentanza e la contrattazione
Lungi da me considerare la CGIL come l’ultima parte buona della società italiana, o più ancora come l’unico soggetto senza macchia. La storia, anche recente, della CGIL è costellata di errori ed al nostro interno, come è fisiologicamente inevitabile per un’organizzazione complessa, sopravvivono situazioni contraddittorie. Ed anche noi abbiamo la tendenza genetica dei poveri, quella di dividerci e farci la guerra tra di noi.
Però credo fermamente, con la testa e con il cuore, che al centro di ogni nostra posizione, di ogni nostra rivendicazione, di ogni nostra proposta, ci sta l’idea che non esiste crescita di civiltà se si arretrano le condizioni dei lavoratori, dal punto di vista del salario, dell’orario, dei diritti di tutela, ma anche e sarei per dire soprattutto degli spazi di democrazia nei luoghi di lavoro. Perché soprattutto? Perché se si hanno regole civili per la rappresentanza e per la contrattazione allora si può contrattare tutto il resto, viceversa no .
La filosofia che si sta affermando è di ridurre il ruolo della contrattazione collettiva, da un lato spostando a livello individuale momenti essenziali della definizione del rapporto di lavoro, rendendo più solo il lavoratore di fronte al datore di lavoro; dall’altro rendendo per la prima volta possibile nel nostro ordinamento una contrattazione in peggio, non solo rispetto alla contrattazione nazionale, ma addirittura rispetto alle norme di legge.
E’ un progetto da non sottovalutare, perché si avvale di un clima culturale favorevole presente in molti strati della società e della politica, che vedono ormai l’esercizio di qualunque forma di contrattazione collettiva come un fastidio non necessario alla piena affermazione della libertà d’impresa, finalmente svincolata da qualsiasi responsabilità sociale.
Un clima che rischia di contagiare, come abbiamo visto anche nella nostra realtà locale, persino le Amministrazioni pubbliche governate dal centro-sinistra, anch’esse a volte desiderose di affermare la propria autorità decisionale a prescindere dai condizionamenti che possono derivare dal rispetto delle procedure negoziali previste dai testi contrattuali.
Ernesto è una rivista, dietro la rivista ci stanno donne e uomini con idee in testa e con un denominatore comune, fare politica, non solo parlarne. Se oggi vogliamo disquisire di temi anche nobili ma che non hanno una sana ricaduta nella politica praticata, temo che io, davvero, non sono la persona giusta.
Oggi forse la domanda centrale a cui io dovrei tentare di rispondere è: la CGIL come organizzazione di rappresentanza cosa si aspetta dal mondo politico, in particolare dal mondo politico che sta a sinistra e che tradizionalmente è più vicino ai suoi valori?
1. Intanto, nessuno si aspetta di riprodurre cinghie di trasmissione di vecchio stampo, ma di certo ci si aspetta di vedere a sinistra la condivisione di fondo sul valore centrale: la dignità dell’uomo sta al centro dell’universo, e ogni azione, in qualsiasi campo, è buona solo se va verso il suo rafforzamento. La dignità dell’essere umano si rafforza a partire dal suo lavoro, cioè dallo strumento necessario non solo alla sopravvivenza economica ma all’affermazione della sua identità sociale.
2. Va ripresa una politica di internazionalizzazione delle tematiche del lavoro; l’idea di uno schema di contrattazione almeno europeo, oltre a difendere la dignità del lavoro nei paesi più avanzati e promuoverla in quelli meno avanzati, è garanzia di più corretta competitività imprenditoriale.
3. L’efficienza e la produttività vanno misurate tenendo conto di tutti i parametri del sistema produttivo e non solo della variabile umana, che anzi va valorizzata e non avvilita. (Infrastrutture, ambiente e sua compatibilità, costi energetici, qualità e costi della formazione, condizioni generali di vita, … )
4. Va attuato l’articolo 39 della Costituzione, regolando in modo pulito e trasparente il peso reale della rappresentanza sindacale.
5. Va ripresa la trattativa per definire le regole della contrattazione, superando l’accordo a firme separate del 22 gennaio 2009. Vanno scritte regole che permettano davvero di far contare la voce delle lavoratrici e dei lavoratori nella definizione dei loro contratti di lavoro. Sono le stesse donne e gli stessi uomini che vanno a votare sempre di meno e sempre meno a sinistra, perché quando non si conta nel proprio luogo di lavoro, si sente di non poter credere più a niente.
6. Vanno azzerate le leggi che aumentano la precarizzazione, a partire dal recente collegato al lavoro. Perché la precarizzazione può dare l’illusione agli imprenditori di un’immediata flessibilità positiva, ma questa si ferma all’ambito microeconomico. A livelli macroeconomici la precarizzazione diventa inefficienza, e si traduce in sfaldamento della struttura sociale (famiglie), appesantimento di richieste di sostegno al reddito, crollo dei consumi interni, e alla fine anche in scontento di massa che produce due conseguenze: a livello individuale un peggioramento delle condizioni di salute, a livello collettivo il crearsi di una mentalità diffusa di antipolitica capace di fare da humus per degenerazioni socio-politiche anche gravi.
7. Vanno riscritti i confini della legalità in termini di inclusione nei confronti dei lavoratori migranti. Non ci possono essere tre legalità in un paese civile, quella di chi governa, quella dei cittadini autoctoni, e quella dei lavoratori migranti.
8. Fiscalmente va sgravato il lavoro dipendente, appesantita la pressione sui grandi patrimoni, sulle transazioni finanziarie, colpita davvero l’evasione.
9. Va riconosciuta, nel governo della cosa pubblica, la preminenza della cultura della democrazia rispetto alla cultura dell’amministrazione. Anche a Ferrara.
A proposito di Ferrara, è possibile definire tra CGIL e soggetti che ci stanno, una piattaforma che, pur nei limiti dettati dalla situazione generale intravveda delle possibili vie di crescita. Non ci penso nemmeno di tentare qui la stesura di quella piattaforma, non è la sede ed io certamente non ne ho le capacità. Ma quattro stimoli immediati, assolutamente parziali, mi sento di metterli sul tavolo.
A. Riprendere in mano la questione Arcispedale S.Anna, partendo dalla situazione reale di oggi e riconsiderando Cona, ma soprattutto l’area ex S.Anna, come parti della città da ripensare rapidamente sotto tutti gli aspetti: urbanistico, di mobilità, di concentrazione di interessi (indotto edilizio, commerciale, di servizi collegati al welfare), ma anche di concentrazione di saperi (sanità, ricerca universitaria, formazione).
B. Favorire le associazioni o unioni di Comuni per la gestione congiunta di alcuni servizi, o addirittura le fusioni di realtà comunali di dimensioni molto limitate, che rappresentano un costo non necessario per la collettività e la cui sopravvivenza è legata solo alla tutela di interessi molto particolaristici e di prerogative locali.
C. Rivedere le strutture di comunicazione della nostra provincia; quelle materiali: trasporti su rotaia in particolare; quelle immateriali: banda larga.
D. Ricostruire una sorta di macrocontabilità della ricerca scientifica a Ferrara, privata ma soprattutto pubblica (Università), vedere in trasparenza quanto la ricerca ha speso in questi anni e quanto ha restituito al nostro territori in termini di stimolo sia di innovazione dei processi produttivi e dei prodotti, sia di nascita di nuove imprese. Noi pensiamo che da lì si possa partire per valutazioni molto utili a tutti.
Finisco con una considerazione tutta personale. Il blocco di centro-destra si sta riorganizzando, quello di centro-sinistra sarà costretto a farlo, volente o nolente. Non so se augurarmi la nascita di un Partito del Lavoro, perché si porrebbero sicuramente molte questioni relative alla rappresentatività generale, ai rapporti condizionanti col Sindacato. Di certo però percepisco tutti i giorni che i lavoratori dipendenti, compreso il popolo delle piccole partite iva, i pensionati, i precari, sentono di avere sempre meno voce nel Parlamento italiano ed in quello europeo.
Così la democrazia arretra ed arretra la civiltà. Arretra quando la nostra gente vota per disperazione abboccando ai richiami della destra localista e xenofoba, ma arretra soprattutto quando la nostra gente non va a votare, sciupando la conquista più importante delle generazioni passate.