Storie di precari al servizio saltuario dello Stato. Uomini e donne che si arrabattano per metà della loro vita a fingere di essere come tutti gli altri loro colleghi che hanno ferie pagate, si possono anche ammalare e avranno persino una piccola festa con il brindisi il giorno che lasceranno per la pensione. Obbiettivo impossibile ad esempio per Miale, detto Mialeddu, tra un anno compie quarant’anni, ha due figli di precario, e tra un mese termina il suo Co. co. co. presso l’ufficio amministrativo della provincia di Oristano, vive nella continua paura che per qualche ragione non lo richiamino più.
I colleghi sono molto rispettosi ma solo perché nel suo ufficio è l’unico con la laurea, gli altri sono tutti diplomati, compreso il suo diretto superiore. Miale non si lamenta, ha il computer con la password personale, può accedere a tutti i programmi, ha la scrivania come tutti gli altri e anzi si sente caricato anche di troppe responsabilità, ma si sente sempre come l’ultimo arrivato, quello che non puoi mai alzare la voce, gli altri possono anche contestare il lavoro, ma lui non osa, nemmeno quando lo rimproverano se entra in ritardo al mattino. E’ un sopruso, per il suo contratto dovrebbe essere lui a gestirsi l’ orario, ma invece è un dipendente come gli altri, la sola differenza è che per lui sta già iniziando l’ansia per il rinnovo.
La stessa ansia la conosce Carlo, italo turco laureato in sociologia e dal 1996 pompiere precario a Milano. Scherza sul fatto che Giorgio Armani abbia curato il design delle nuove divise. Lui la divisa con l’ elmetto e tutto l’ equipaggiamento ce l’ ha sì, ma in comodato d’ uso. Per sei mesi all’ anno la tiene nell’ armadio, riceve la busta paga dal Ministero degli Interni solo per gli altri sei mesi in cui lavora, anche se il pagamento è a 90 giorni.
Dice di sentirsi come uno zombie che richiamano in vita centosessanta giorni all’ anno e per il resto del tempo resta sepolto in un armadio, assieme alla divisa con il catarifrangente, gli stivali e l’elmetto. Ha un figlio di sei anni, la moglie si è rotta le scatole di questa situazione e si è separata. Fa parte di un bacino di 12.000 persone idonee e addestrate. Vengono impiegati ovunque serva, ma in caserma sono le eterne “spine”. Ogni venti giorni Carlo viene richiamato a fare il pompiere, ma magari mentre una volta gli mettono il respiratore e lo fanno entrare nel fuoco, la volta seguente fila a lavorare in una cucina. Ammette che un po’ di nonnismo sia rimasto, anche se il corpo dei Vigili del fuoco si è demilitarizzato da decenni.
Quando il vigile anziano dice di stendere la tubazione sono quelli come Carlo che devono andare a prendere i raccordi e caricarsi i tubi. Questo è un lavoro dove conta lo spirito di corpo e la coesione con la propria squadra, magari la volta che Carlo sta in un distaccamento dove conosce tutti porta il quebab e si sente un vero pompiere, ma quando hanno bisogno di lui nell’ ufficio ragioneria, deve andarci , come pure alla batteria a fare l’ usciere per alzare e scendere la staffa. Carlo ha una visione idealista del pompiere, invidia i vigili operativi, quelli che salgono sui carri sempre con la stessa squadra e quando finisce il turno e sono stati assieme nel fuoco non vedono l’ ora di andarsene in branda, ma i discontinui come lui invece tornano a casa pieni di frustrazione, magari se c’era da sparecchiare e lavare le pentole è toccato a loro farlo. La peggior mortificazione per Carlo è quando gli altri salgono sul carro, ma lui resta a terra.
Pure Laura è una ragazza piena d’ideali, le piacerebbe lavorare al progetto per cui si è impegnata a sangue anche dopo che il suo contratto sarà scaduto. Sa che è tutto appeso a un filo, da due anni è precaria nel settore delle politiche giovanili presso il Comune di Torino. La terrorizza vedere che molti suoi colleghi, più anziani di lei per anni di precariato, stanno assorbendo anche loro la quotidiana liturgia del dipendente comunale medio.
E’ triste, lei non vorrebbe degenerare in quel modo, cerca di fare il massimo per potersi assicurare che ha giugno le rinnoveranno il contratto, però già è angosciata nel pensiero che ciò non possa avvenire. Non fa soste se non minime, cerca di partecipare il più possibile a tutte le attività, ma intorno a lei vede per lo più dipendenti fissi che passano da una pausa all’ altra; prima alla macchinetta del caffè, poi a fumare di nascosto, poi a combinare i tavoli per la mensa.
Internet è il grande passatempo degli impiegati, se nell’ ufficio di Fantozzi facevano la battaglia navale ora si impegnano nel Suddoku on line. Poi hanno tempo per le telefonate, le chiacchiere, la sfilata delle scarpe nuove e dei vestiti presi all’ Outlet durante fughe in orario d’ ufficio. Non è che siano proprio tutti così, ci sono anche quei pochissimi che si spezzano, ma vengono osservati come alieni e l’ atteggiamento generale è di domandarsi per quale patologia o dispiacere familiare si comportino così. Quando capita che si ammali il custode che chiude tutte le porte, i precari del gruppo di Laura sono gli unici ad essere avvertiti di uscire entro le sei e mezzo di sera, per il resto del personale non serve, si è gia dileguato da ore.