Gli infortuni che colpiscono le donne sono in crescita: il dato è pesante sia per gli «incidenti» complessivi (+0,7% nei primi 11 mesi del 2006) che per i casi mortali (+19,2%). Le cifre vengono dall’ultimo rapporto dell’Anmil, «Donne, infortuni sul lavoro e tutela delle vittime» (www.anmil.it), presentato ieri a Roma, in occasione dell’8 marzo. Un «pretesto», quello della data dedicata alle donne, ma il problema rappresenta quotidianamente un’emergenza, dato che donne sono non solo le vittime degli infortuni, quando lavorano, ma anche le vedove che restano da sole, spesso con i figli a carico, in caso di morte dei mariti: l’ultimo esempio è offerto dalla storia della famiglia di Massimo Romano, il ferroviere morto il 15 novembre scorso sui binari di Monterotondo, travolto da un treno che non lo ha visto in tempo mentre lavorava sulla linea ferrata. La moglie è rimasta sola, con due figli di 14 e 11 anni, e i colleghi di Massimo hanno scritto e pubblicato attraverso il nostro giornale una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per sollecitare un aiuto dello Stato che ancora tarda (vedi il manifesto del 23 febbraio scorso).
Ma torniamo alle donne colpite sul lavoro: come abbiamo anticipato, nei primi 11 mesi del 2006 gli infortuni femminili sono aumentati dello 0,7% rispetto allo stesso periodo del 2005 (passando da 229.540 a 231.120); i casi mortali, passando da 78 a 93, sono saliti addirittura del 19,2%. Cifre che fanno rabbrividire. L’Anmil ha poi effettuato un calcolo sul quinquennio 2001-2005, e anche in questo caso si registra un incremento: +5% le donne infortunate, con punte molto alte nel commercio (+30%) e nella sanità (+23%), mentre sono diminuiti i casi nel manifatturiero (-16,5%). Le donne disabili per infortunio o malattia professionale sono 121.326, mentre 115 mila sono le titolari di rendite ai superstiti (dati al 31 dicembre 2006).
Tanti sono i problemi legati al servizio che l’Inail offre alle vittime di infortuni, e non dipendono tutti dall’istituto di assicurazione contro gli infortuni, ma soprattutto dalla politica e dal governo. Innanzitutto le rendite, incomprensibilmente basse a fronte di un attivo annuo dell’istituto che è pari a ben 2 miliardi e mezzo di euro. Ma anche i criteri di assegnazione delle rendite sono inadeguati, antiquati e discriminatori: si pensi che in caso di esportazione di una mammella per infortunio o malattia professionale, l’Inail riconosce la stessa invalidità (massimo il 10%) a uomini e donne. Forse la «funzionalità» lavorativa per i due sessi potrebbe anche essere paragonabile, ma la differenza sull’impatto nella vita sociale è certamente differente.
«Chiediamo al governo di riadeguare le rendite Inail allo stato pre-riforma del 2000, che ha peggiorato le prestazioni – spiega Sandro Giovannelli, Direttore dell’Anmil – Bastano pochi interventi, che costano 160 milioni di euro: poco rispetto ai 2 miliardi e mezzo annui di avanzo Inail. Il ministro del lavoro Damiano ci aveva dato disponibilità, ma quando il tema arriva al ministero dell’Economia tutto si blocca. Noi pensiamo che l’avanzo dovrebbe essere utilizzato non solo per le rendite, ma anche per fornire welfare ai lavoratori, per la prevenzione, la cura, il reinserimento». L’Inail spende per prestazioni 6 miliardi di euro annui, mentre l’avanzo di gestione viene ogni anno incamerato di fatto dal Tesoro per ripianare i deficit statali.
All’iniziativa dell’Anmil abbiamo incontrato tante lavoratrici. Tra di loro c’è anche Daria Boiardi, di Reggio Emilia, accompagnata dal marito Giuliano. Lavorano entrambi all’Arciospedale di Santa Maria Nuova: nel 1997 Daria ha subito un infortunio al pollice, lo stiramento del tendine, colpita da un pacco di merce (faceva la fattorina all’interno della struttura). Da allora si è dovuta sottoporre a 3 interventi e costose cure fisioterapiche, ma non ha mai recuperato la funzionalità della mano destra. Per fortuna ha conservato il posto in ospedale, l’Inail le riconosce una rendita di 280 euro che non basta per visite e fisioterapie. «Come donna ho accettato l’incidente, ma come lavoratrice mi sento inferiore», dice con amarezza: «Continuo a fare concorsi ma dal ’97 non riesco a salire di livello. Tutto a causa dell’infortunio».