L’autunno caldo dei contratti

Sei milioni in attesa di rinnovo. Cisl: differenziarli per impresa. Fiom: autunno di scioperi
Super stipendi? Secondo l’Istat i salari crescono più dell’inflazione. Realtà ben diversa, rispondono i sindacati. «Sono medie falsate dai rinnovi»

ROMA
Con la fine delle ferie estive torna a riscaldarsi il dibattito sui contratti. A fornire l’occasione, ieri, i dati dell’Istat sulle retribuzioni dei lavoratori italiani. Sempre più basse, naturalmente. Nel senso che riescono a tenere dietro con crescente difficoltà all’aumento del costo della vita, tanto più se si tiene conto del fatto che, secondo i calcoli dell’istituto, sono ben 5,7 milioni i dipendenti in attesa del rinnovo contrattuale. Si va dai metalmeccanici (il fronte più caldo) agli addetti delle telecomunicazioni, dagli alimentaristi al pubblico impiego (per il settore c’è un accordo, che l’Aran non ha ancora reso operativo). I ritardi sono pesanti, e certo le medie statistiche non riescono a rendere le differenze tra i diversi settori, né a fotografare una mappa fatta di rinnovi a singhiozzo. L’Istat ha comunque rilevato un aumento, in luglio, dello 0,4% su base mensile e del 2,8% annuo (dunque superiore alla crescita dell’inflazione, che nello stesso mese registrava un +2,1%, ma in rallentamento rispetto all’incremento di giugno, pari al 3%). I sindacati hanno dunque notato come i dati non rispecchino con esattezza lo stato reale delle buste paga: secondo il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, «è evidente che i dati risentano della scadenza dei contratti, quindi bisognerebbe ragionare su medie annue». «L’Istat ha fornito dati in lordo, quelli netti sono la metà», dice Luigi Angeletti (Uil). Anche Savino Pezzotta, segretario generale Cisl, afferma che «sono cifre in ritardo rispetto all’andamento dei prezzi, e poi sono dati medi su cui influiscono gli aumenti contrattuali». La stessa Istat spiega che in luglio vengono corrisposte tranche di aumento concordate in passato, come è avvenuto per esempio per alcuni settori (+12% su base annua per i militari, +8,9% per le forze dell’ordine, +4,8% nel commercio, +3,7% per credito e assicurazioni), mentre altri comparti (appunto i metalmeccanici, gli alimentaristi, le tlc) restano pesantemente al palo e con i loro dati negativi abbassano la media.

Vale la pena dare uno sguardo più approfondito ai numeri che riguardano i lavoratori in attesa di rinnovo: sono 5.730.000, pari al 46,2% del totale degli occupati dipendenti (e al 45,9% del monte retributivo). In media la vacanza contrattuale durava, in luglio, da 12,3 mesi (con punte di 19,1 mesi per il pubblico impiego e di 15,4 per i trasporti). Se negli ultimi mesi dell’anno non dovessero arrivare rinnovi, la media annua degli aumenti retributivi dovrebbe attestarsi sul 3,1%, ma con differenze rilevanti tra i diversi settori.

Anche i consumatori mettono in dubbio la reale rappresentatività dei dati Istat: secondo i calcoli di Adusbef e Federconsumatori, in 5 anni il potere di acquisto delle famiglie è crollato del 25%, per un ammontare di 7-8 mila euro l’anno su un reddito di 28 mila euro. E hanno un’idea sul divario retribuzioni-inflazione: se è vero – dicono – che gli stipendi crescono del 2,8% e l’inflazione del 2%, dove finiscono le risorse liberate da questo gap, ampliato dal crollo dei consumi? A loro parere, «sono i capitali che stanno tentando le varie scalate, finanziate con il credito al consumo». E la previsione di rincari per l’autunno, dovuti a carburanti, bollette, trasporti, banche e assicurazioni non è rosea: una stangata di 700 euro in più a famiglia.

Per il sottosegretario Sacconi, la soluzione al problema retribuzioni sta nella «ripresa del dialogo tra le parti sociali per la riforma del modello contrattuale», riforma che il governo sarebbe «disponibile a favorire con interventi di riduzione del costo indiretto del lavoro e di incentivazione selettiva delle componenti variabili della retribuzione ancorate alla produttività». Sacconi ammette che l’aumento medio, superiore alla crescita dei prezzi, vede confondersi situazioni di diversi settori, e dunque addita lo stallo dei metalmeccanici, la cui «paralisi è dovuta al veto opposto da una organizzazione sindacale». L’ennesima occasione per rinverdire l’ossessione Fiom.

L’opinione della Fiom non si fa attendere: il segretario nazionale Giorgio Cremaschi, sottolineando la crisi dei salari e il contemporaneo boom dei profitti registrato da Mediobanca per molte medie e grandi imprese, annuncia «un autunno di scioperi». Sul piano del modello contrattuale, invece, continuano i messaggi a distanza tra le confederazioni. Epifani si dice disponibile a «riprendere rapidamente il confronto unitario». Pezzotta, dal canto suo, rinnova l’ultimatum lanciato dal Congresso Cisl di luglio: «Inizio della discussione entro il 15 settembre, oppure passeremo alla consultazione dei lavoratori» (anche Angeletti indica il 15 settembre come dead line). Nel merito, il segretario della Cisl parla dei «contratti d’impresa», avvicinandosi così alla Confindustria e abbandonando il contratto territoriale: «Per evitare le gabbie salariali – dice – bisogna creare un modello legato alla realtà dell’impresa e non a quella del territorio».