L’autonomia dà più forza

La Cgil affina gli argomenti per presentarsi al «confronto» con il governo sulle linee di politica economica e industriale che saranno incardinate con la legge finanziaria 2007. La carne al fuoco preparata dal rapporto sui «salari nel 2000» è tanta, com’è giusto che sia. Sul piano del modello di capitalismo viene dato l’addio senza troppi rimpianti alla stagione del «piccolo è bello», dell’«arricchitevi» dotandovi di partita Iva. Su quello della distribuzione della ricchezza prodotta, si documenta che Il lavoro – dipendente, finto autonomo (partite Iva monocliente, contratti di collaborazione, ecc), il pubblico impiego, i pensionati – ha perso negli ultimi 20 anni, insieme alla «centralità» politica e sociale, anche fette assai consistenti di reddito. Sedersi a un tavolo chiarendo, carte alla mano, che non solo «abbiamo già dato», ma anche documentando il «quanto» si è già dato, è precauzione necessaria. Specie quando i cori sul «risanamento» si alzano molto più potenti di quelli che promettono «equità».
Ed è altrettanto giusto mettere al centro temi come le politiche per lo sviluppo, quelle per il welfare e soprattutto «rinnovate politiche redistributive per tutti i redditi». Mettendo in chiaro anche che la riduzione dei «differenziali salariali interni» al mondo del lavoro va intesa nel senso del’elevamento del potere d’acquisto di tutti i soggetti; e non in quello della moderazione salariale dei (sempre meno numerosi) «garantiti», ossia assunti con contratto a tempo indeterminato.
La ricerca curata da Agostino Megale, il presidente dell’Ires che non mostra imbarazzi nell’autodefinirsi sindacalmente un «moderato», cerca però di dimostrare troppo. Anche quel che politicamente – e obiettivamente – è assai difficile sostenere. Ossia che i salari in genere abbiano vissuto una stagione tragica sotto Berlusconi, mentre «al tempo dell’Ulivo» (tra il 1996 e il 2001) i lavoratori potevano sorridere felici. La stessa Mediobanca, difficilmente imputabile di «estremismo di sinistra», ha chiarito con i suoi studi che negli ultimi 20 anni una quota crescente di reddito è passata dal lavoro ai profitti e alla rendita. Giorno dopo giorno, con qualche picco di caduta più veloce. Del resto, documentata con precisione dal rapporto Ires, che prende in considerazione le serie degli ultimi 35 anni.
Ed è nel periodo successivo agli accordi del luglio ’93 e alla maxi-stangata da 90.000 miliardi di lire del governo Amato, che il differenziale tra retribuzioni contrattuali lorde e i prezzi al consumo cominciò a diventare negativo (+2,6 i salari lordi, + 4,7 i prezzi al consumo). Fin lì c’era sempre stato un vantaggio a favore dei salari (forte nella temperie degli anni Settanta, esiguo al limite della sparizione negli anni Ottanta, dopo l’abolizione della scala mobile). E’ vero che la «cura Tremonti» ha accelerato il processo di caduta delle retribuzioni reali, ma la differenza con i governi ulivisti è tutta sulla «velocità» della caduta, non sul segno del trend.
Del resto, cose pessime per i lavoratori sono venute anche sul piano legislativo (l’istituzione di una normativa e di una commissione antisciopero nei servizi pubblici, il pacchetto Treu che ha introdotto dosi massicce di flessibilità, ecc). Ricordare questi fatti aiuta a presentarsi più forti al tavolo del confronto, senza troppe concessioni fatte «in foro interno», ancor prima di mettersi a discutere.