L’autobus dei diritti

Francesca non si ferma un attimo: continua a fare la spola tra il banchetto e gli autobus che, senza sosta, partono e arrivano a Piazza dei Cinquecento, davanti alla stazione Termini. Quando si avvicina al banchetto porta con se due o tre lavoratori in uniforme blu che salutano e si chinano a firmare i moduli. A pochi metri, adorno di striscioni e manifesti, l’unico pullman che non è al lavoro è “l’autobus dei diritti”, promosso da Cnl, Sincobas e Sult, i tre sindacati autonomi impegnati nel “patto federativo”, tra i più attivi promotori della proposta di legge di iniziativa popolare per una nuova scala mobile. Sarà il prezioso lavoro di Francesca o il piacevole caldo di una mattina quasi estiva, ma alla fine della giornata i moduli saranno tutti pieni: quasi 500 firme in poche ore raccolte tra i lavoratori dei mezzi pubblici romani, in pausa tra una corsa e l’altra. E non si tratta di un caso isolato: pochi giorni prima i moduli viaggiavano tra i tavoli della mensa aziendale di Fiumicino (500 firme solo durante il pranzo, 1000 in tutto tra i lavoratori dello scalo aeroportuale), altre 700 a Tivoli, in provincia di Roma, in un banchetto durato mezza giornata. C’è di che stare allegri: a questo ritmo non si faticherà di certo a superare di molto il traguardo minimo di 50 mila firme sufficienti per avviare l’iter parlamentare della proposta di legge. Anzi, c’è chi afferma che non sarà impossibile raccoglierne 10 volte tanto, mezzo milione. Non è un caso: tra i fumi inquinati di una campagna elettorale fatta di basse polemiche televisive per i più è impossibile dimenticare la voce insistente del proprio portafoglio. Arrivare a fine mese è sempre più difficile, perché i prezzi crescono troppo velocemente, molto più di quanto crescano i salari. Sempre che di salari, nel vertiginoso aumento di forme contrattuali precarie e intermittenti, si possa ancora parlare. E mentre sui piccoli schermi si vocifera di bambini bolliti, di sacri diritti della famiglia e di capitali che nessuno, mai e poi mai, avrebbe il coraggio di tassare, nel frenetico piazzale della stazione si rivede, che sorpresa!, la vita reale. Quella che ci racconta Roberto Cortese, sindacalista del Sult: “Sono un conducente di autobus con 18 anni di servizio. Lavoro 36 ore e guadagno 1300 euro. Un mio collega più giovane, un interinale o un “apprendista” lavora 40 ore e guadagna 800 euro. Molti di loro sono costretti all’autosfruttamento degli straordinari o a un secondo lavoro”. Eccola, la vita vera, quella della nuova povertà che, a partire da quello sciagurato agosto del 1993, quando la scala mobile fu messa in cantina, si espande senza sosta, specialmente tra i giovani. “Oggi a Roma ci sono 9600 autisti, di questi il 50% sono precari”, spiega Cortese. “Molti di loro vengono da lontano, alcuni fin dalla provincia di Napoli. Quelli che vivono a Roma pagano affitti esosi, spesso dividono tra loro piccoli appartamenti. I pendolari giungono a lavoro su treni lenti e spesso in ritardo, e sono costretti a turni spezzati: alcune ore di lavoro la mattina, poi una pausa non retribuita, e poi di nuovo a lavoro fino a sera. Si giunge fino a una disponibilità di 14 ore, tra l’inizio del primo e la fine dell’ultimo turno”.
Gli autotranvieri continuano ad avvicinarsi, alla spicciolata, al banchetto. , chiedono i sindacalisti, dietro il tavolo, moduli alla mano. “Certo, non è facile coinvolgere i giovani”, continua Roberto Cortese. “Molti hanno poca fiducia o vedono il sindacato come uno strumento utile solo a migliorare le proprie condizioni personali. E poi, nelle aziende pubbliche, è fortissimo il canale politico, che assegna favori a seconda dell’appartenenza a questa o quella clientela. Ancor più complesso, poi, raggiungere i precari che lavorano nelle aziende private che vincono i subappalti grazie a contenuti costi del lavoro. Lì i lavoratori sono ricattabili, deboli e divisi. Eppure ogni tanto c’è qualche colpo di scena, e inaspettatamente allo sciopero partecipa il 70% dei lavoratori, e tra essi in prima fila ci sono i giovani precari. Per questo, per rendere i nostri sindacati più forti e più credibili, abbiamo deciso di dare via al percorso del patto federativo”.
Un obiettivo ambizioso di unità e rafforzamento del sindacalismo di base che da tempo ormai si discute nelle assemblee dei tre sindacati. Con la speranza di fare dell’intercategorialità uno degli elementi distintivi del nuovo soggetto. I lavoratori dei trasporti del Sult, i metalmeccanici del Sin-Cobas, il pubblico impiego del Cnl, settori che vivono problemi spesso molto simili: la precarietà, la perdita del potere di acquisto dei salari, le esternalizzazioni. Si inizia a lavorare insieme, appunto, dalla campagna per una nuova scala mobile. “E’ una battaglia che si può vincere”, afferma Robinson Massacesi, del Sincobas. “Arriveremo senza dubbio in Parlamento, e lì, temo, inizieranno i problemi”, continua. “Il futuro governo dovrà essere incalzato dalle mobilitazioni dei lavoratori. Ds e Margherita sono troppo morbidi sui temi del lavoro, mentre i sindacati confederali si avviano verso una nuova concertazione”, aggiunge Marco Ralli del CNL.
La prima concertazione, quella firmata dall’allora ministro Ciampi, segnò la fine della scala mobile che oggi, con grande impegno si prova a reintrodurre. La prossima concertazione, quella invocata dalla Cisl e da Confindustria, evocata dal “governo amico” di Epifani e dal “risanamento” di Prodi dev’essere fermata ancor prima di nascere. La campagna per una nuova scala mobile servirà anche a questo.