L’aumento delle aggressioni neofasciste e la latitanza delle istituzioni

Solo qualche settimana fa, il primo marzo, un’esplosione ha devastato un’ala del centro sociale Ask 191 a Palermo, situato in uno stabile occupato, un tempo di proprietà della famiglia mafiosa dei Madonia, confiscato negli anni Ottanta ma mai assegnato. All’esterno, sul cancello, a siglare l’impresa, diverse croci celtiche. Un episodio grave, non ultimo di una lunga catena di aggressioni. Dall’inizio dell’anno a oggi si sono, infatti, succeduti numerosi pestaggi: a Catania, il 13 gennaio, dove sono stati presi a pugni e calci un compagno di Rifondazione comunista e un militante anarchico; a Roma, il 26 gennaio, con un sedicenne all’ospedale per proteste contro un volantinaggio fascista davanti ad un liceo; a Trento, tre giorni dopo, con due gay finiti al pronto soccorso; a Fano, in febbraio, prima nei confronti di due dirigenti locali dei Ds, poi ai danni di una coppia di giovani. La vicenda più grave è avvenuta a Lucca, il 24 febbraio, con l’accoltellamento di un ragazzo, a conclusione di una lunga serie di intimidazioni e minacce e con l’occupazione in pianta stabile da parte di un gruppo di violenti di destra di alcune piazze del centro storico. Altrettanto inquietanti l’incendio a fine gennaio della sezione di Rifondazione comunista a Galatone, in provincia di Lecce; l’assalto alla sede dell’associazione Ekidna di San Martino Secchia, vicino a Modena; le molotov a fine febbraio contro il Lab. Sociale Paz a Rimini e la devastazione, il 10 marzo, del centro sociale “Infermeria occupata” a Bari. L’anno era stato inaugurato con una bomba alla sezione del Pdci di Taranto la notte di Capodanno. Tra un fatto e l’altro anche la profanazione di un ex cimitero ebraico ad Arezzo, alla vigilia del giorno della Memoria. Protagonisti di tutti questi episodi bande di naziskin e gruppi neofascisti, spesso riconosciuti dalle stesse vittime o individuati da numerose testimonianze.

L’assasinio
di Renato Biagetti
Nel solo 2006, stando a un seppur parziale monitoraggio, (reperibile tramite il sito www.ecn.org/antifa/ ), condotto soprattutto consultando quotidiani nazionali e locali, si erano registrate in totale ben 97 aggressioni, 36 in più del 2005, di cui 59 aventi come obiettivo militanti di sinistra o dei centri sociali, immigrati e omosessuali. In queste circostanze l’assassinio, il 27 agosto, a Focene, di Renato Biagetti, un giovane del centro sociale Acrobax di Roma, raggiunto da diverse coltellate all’uscita, all’alba, da una festa reggae. Ventinove invece gli attacchi, censiti nel corso dell’anno, a centri sociali e sette a sedi di partito (di cui ben sei contro Rifondazione), un assalto a una Festa dell’Unità e un’aggressione classificabile contro politici e giornalisti. Trenta gli atti vandalici, principalmente danneggiamenti a lapidi o monumenti partigiani. In questa escalation Roma si è conquistata la palma di città più colpita, con oltre 40 episodi. A ruota i territori dell’Emilia Romagna, della Lombardia, del Veneto e della Toscana. Ma in quasi tutte le regioni d’Italia, questo il dato, dall’Alto Adige alla Sicilia, continuano ad accadere fatti preoccupanti, caratterizzati dal ricorso frequente all’uso del coltello.

Col manganello
e le bombe a man
Dall’aprile dello scorso anno, dopo la sconfitta elettorale del centro-destra, si è assistito a una ripresa quasi frenetica di iniziative e manifestazioni organizzate in molte città italiane da formazioni neofasciste. Alcune di queste, proprio per le caratteristiche che erano in procinto di assumere, sono state vietate per motivi di ordine pubblico, altre, per gli slogan lanciati o l’esplicita apologia di fascismo, sono state invece fermate in pieno svolgimento, come a Verona, nel maggio passato, quando è stato bloccato un corteo nazionale di Forza nuova, con cori inneggianti al “duce” intervallati dal grido nazista “Sieg Heil!”. A Milano, a seguito dell’iniziativa nazionale della Fiamma tricolore dell’11 marzo dello scorso anno, la procura della Repubblica ha appena disposto il rinvio a giudizio di una ventina di esponenti, fra dirigenti e militanti, di questa organizzazione per “manifestazioni usuali del disciolto partito fascista”. Due le condanne già erogate a cinque mesi e dieci giorni. Tra gli slogan incriminati: “Della galera ce ne freghiamo camicia nera trionferà, se non trionferà sarà un macello col manganello e le bombe a man”. Numerosi anche i convegni per esaltare figure del passato, tra gli altri Alessandro Pavolini, il comandante delle Brigate nere, o corpi militari della Rsi, in evidenza come sempre la X Mas di Junio Valerio Borghese, per finire, come è accaduto di recente a Torino, alla promozione di un’assemblea celebrativa delle Waffen-Ss da parte di un circolo di Forza nuova.

Tra simboli delle Ss,
parate e spedizioni
Ciò che allarma in questo crescendo sono però alcuni aspetti, ben oltre la semplice propaganda fascista. L’uso, da un lato, di simbologie inequivocabilmente mutuate dal Terzo Reich, con l’esposizione ormai ricorrente di stemmi (in particolare delle divisioni delle Waffen-Ss “Das Reich” e “Nederland”), dall’altro, l’allestimento di cortei in cui partecipanti, qualche centinaio nelle migliori occasioni, sfilano ormai inquadrati militarmente o si dispongono a scimmiottare le parate del ventennio, con tanto di bandiere con croci celtiche e fasci littori. Si osservino i filmati o le fotografie veicolati dagli stessi siti di appartenenza. Per il neofascismo italiano la piazza, in questo contesto, va sempre più crescendo di importanza. Un terreno di esibizione militante accompagnato da una terminologia sempre più aggressiva in cui i cortei sembrano trasformarsi in spedizioni per occupare piazze e città. “Siamo passati!”, questa l’affermazione più ricorrente quando si è riusciti a tenere un comizio o una manifestazione. Le locandine traboccano di minacce ai comunisti, si va dalle mazze per una manifestazione a Livorno, poi ritirata a fronte delle proteste delle forze democratiche, fino ai manifesti della Fiamma tricolore “Marciamo su Roma!” o “Sveglia bastardi, la Fiamma è tornata!”, per arrivare all’ultima campagna elettorale dove sui muri di Roma fu affissa una vecchia fotografia di squadristi degli anni Venti, sormontata dalla dicitura “Sostieni la squadra del cuore”. La Fiamma tricolore, in particolare, tenta di rivalutare questa epopea, con piccoli cortei di camion con a bordo gruppi di militanti a mimare e riprodurre, per il momento solo simbolicamente, l’atmosfera delle spedizioni punitive. Una specie di squadrismo mediatico.

Le istituzioni
Grave, in questo quadro, la latitanza delle istituzioni, delle questure e delle prefetture. Le aggressioni, nella gran parte dei casi, sono state sminuite o trasformate in “ragazzate”. Esplicite a volte le connivenze. In alcune città, come a Lucca o Pavia, si è ad esempio tollerata per anni l’occupazione di vie e piazze da parte di vere e proprie bande. I divieti a manifestare con simboli e bandiere ormai proibite nelle stesse curve degli stadi sono stati rarissimi. Spesso è addirittura accaduto il contrario, con tanto di denunce per chi promuoveva senza regolare preavviso manifestazioni di protesta. Eclatanti i casi di Piacenza, con condanna a cinque giorni di prigione per il segretario cittadino di Rifondazione, e di Massa, dove si è ritenuto colpevole il presidente dell’Anpi per aver deposto, senza autorizzazione, un mazzo di fiori ad un monumento precedentemente sfregiato da una svastica. Non è più possibile non cogliere questa emergenza.