Dopo aver annunciato che gli Stati Uniti si riservano la possibilità di riprendere gli esperimenti nucleari sotterranei, Washington ha fatto sapere come intende attuare l’impegno, assunto dal presidente Bush lo scorso dicembre con il presidente russo Putin, di ridurre le armi nucleari strategiche operative (pronte al lancio) dalle attuali 6.000 a 1.700-2.100 per parte nel giro di dieci anni: le testate nucleari dismesse non saranno distrutte ma, in gran parte, conservate. Immediata la risposta di Mosca: <>.
La protesta di Mosca è continuata anche ieri con una risoluzione di condanna della decisione unilaterale USA da parte del parlamento russo (Duma) e con un atteggiamento molto negativo dello stato maggiore russo nella commissione congiunta sul Trattato Abm. Una protesta che però non farà cambiare idea all’amministrazione Bush che ha ormai enunciato il suo concetto di <> nel rapporto segreto Nuclear Posture Review presentato al Congresso martedì 8 gennaio: un disarmo simile a quello di un pistolero che, per dimostrare le sue intenzioni pacifiche, dice che toglierà dal tamburo del suo revolver alcune cartucce, non per buttarle via ma per mettersele in tasca, continuando a tenere l’avversario sotto mira. Sembra accorgersene anche qualche membro del Congresso Usa: ieri Carl Levin, presidente della commissione senatoriale <> ha detto: <>.
Nello stesso modo il presidente Bush, dopo aver rifiutato di mettere nero su bianco l’impegno e di stabilire quali dovrebbero essere gli strumenti di verifica, fa sapere che le testate nucleari, tolte dalle piattaforme di lancio, saranno conservate negli arsenali (dove vi sono già circa 12.000 armi nucleari), così da poter essere in brevissimo tempo reinstallate, continuando per di più a migliorarle con gli esperimenti nucleari per renderle ancor più letali.
Gli Stati Uniti dimostrano in tal modo che cosa intendono per politica di distensione: portare alla lunga le trattative con Mosca, fidando che la Russia si indebolirà ulteriormente a causa della crisi interna. Nel frattempo, con l’operazione <>, stanno distaccando da Mosca e portando nella propria sfera d’influenza le repubbliche ex-sovietiche (Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan e Kazakistan), rimaste collegate alla Federazione russa nel quadro della Comunità di stati indipendenti. Stanno così occupando il<> lasciato dal crollo dell’Urss nell’Asia centrale, area di vitale importanza sia per le risorse energetiche del Caspio e quelle limitrofe del Golfo, e i relativi <> petroliferi, sia per la posizione geostrategica rispetto a Russia, Cina e India.
Tale strategia è confermata dalla dichiarazione di funzionari dell’amministrazione Bush, che <> (The New York Times, 8 gennaio). Le forze statunitensi – precisano – resteranno nella <> anche dopo che in Afghanistan saranno state eliminate le sacche di resistenza di Al Qaeda e talebani e la guerra aerea sarà cessata. A tal fine è stato deciso di costruire <>, basi aeree che svolgeranno <>. La prima, in costruzione nel Kirghizistan, ospiterà sia aerei da combattimento che da trasporto per il trasferimento di truppe e materiali nell’area. Già è arrivata nell’aeroporto di Kandahar, in Afghanistan, la 101a Divisione aviotrasportata, per sostituire i marines qui dislocati. Il suo trasferimento in quest’area indica chiaramente che gli Usa intendono rimanervi a lungo: questa unità di rapido spiegamento viene infatti usata, a differenza dei marines, nelle operazioni che prevedono una presenza militare prolungata per il controllo del territorio. Non mancano però le preoccupazioni. <>. Un avvertimento per l’apprendista stregone Bush.