L’arte globale di Giuseppe Chiari

L’importante è non fare cose perfette. Sarò più chiaro: non proporsi di fare cose perfette (…)
Un’arte mondana. Ecco ciò che occorre fare: mondana nel preciso senso in cui questa parola viene usata per indicare le prostitute». Sono parole di Giuseppe Chiari, lo stesso “artista globale” che, nel ’62, aveva composto l’opera musicale Lettera (con una vera lettera di una prostituta a fare da prologo). Al di là delle innovazioni linguistiche nell’arte visiva, come nella musica, come nelle
performances quello che interessa a Chiari è riaffermare una visione integrale della vita e del mondo. Una “weltanshaung” che al centro pone la figura umana, liberata dal principio di autorità nella società e nella famiglia.
Negare il valore dell’autorità in sé per riconoscerlo, invece, alla coralità dei pronunciamenti umani anche quando sono imperfetti, anzi soprattutto quando sono imperfetti, è l’intenzione di questo artista politico nel senso più alto ed estensivo del termine.
La mostra antologica ospitata dalla Galleria d’arte moderna di Roma presenta, dal titolo Le scelte trasgressive di Giuseppe Chiari (in
calendario fino al 4 dicembre), rappresenta un riconoscimento forse tardivo dell’importanza di una ricerca che ha visto questo artista (nato nel 1926 a Firenze) svolgere un ruolo di primo piano all’interno del gruppo che prese il nome di Fluxus. Il fondatore del movimento internazionale Fluxus fu il critico d’arte e musicologo George Maciunas che operò sotto l’influenza delle ricerche musicali del teorico e compositore J. Cage. A partire dalla metà degli anni Cinquanta, e nel corso dei molti anni a venire, furono
coinvolti nel movimento personaggi come La Monte Young, George Brecht, Kaprov, Yoko Ono, Walter De Maria, Ben Vautier, Spoerri e gli italiani Giuseppe Chiari e Gianni Emilio Simonetti. La storia del movimento, complessa e articolata, non si presta
ad univoche interpretazioni, anche se può essere inquadrata in prima approssimazione in un processo di riscoperta e rivalutazione del
Dadaismo in Europa e negli Stati Uniti (famose resteranno le serate-Fluxus organizzate da Maciunas alla A/G Gallery di New York).
Ispirandosi a Dada, entro un’ottica però più aperta e socialmente connotata, Fluxus respinge qualsiasi interpretazione della creatività
artistica che si fondi sul primato postromantico dell’artista, inteso come figura mitica posta al di sopra della realtà di tutti i giorni. La dignità artistica dei più comuni gesti viene rivendicata dopo essere stata ideologicamente ricollocata nel suo alveo naturale: il flusso interminabile della vita quotidiana. Un’idea di arte totale, quindi, liberata da ogni gerarchia estetica e di mercato, che riconosce nella multidisciplinarità il suo tratto dominante. Musica, arti visive, happenings si intrecciano entro un ordito tenuto assieme da un’idea
irriverente e antiaccademica del fare arte come accadeva, tanto per fare un esempio, nei concerti senza suoni di Brecht durante i quali fiori e oggetti vari venivano posti su di un pianoforte muto.
Nel flusso di Fluxus Giuseppe Chiari ha collocato la sua investigazione creativa che la mostra di oggi, curata da Paolo Coteni, Ada Lombardi e Carla Michelli, ricapitola con opere su carta, documenti ed un videoconcerto dal titolo Improvvisazione libera eseguito
presso il Conservatorio di Firenze nel 1990 con la partecipazione di tutti i musicisti dell’Istituto, impegnati a eseguire libere improvvisazioni. Pregevole il libro-catalogo edito da Ulisse e Calipso. Ed. mediterranee. Ma l’elemento più connotante della mostra risulta essere l’intrigante installazione “Omaggio a Roma”, realizzata appositamente per il Salone delle Fontane, con pezzi e statements di stile concettuale, allestiti su casse di imballaggio e rafforzati da un intervento sonoro assicurato da una serie di radioline dislocate dietro pannelli di legno e materiali diversi. La trasgressività degli anni ‘60 e ‘70 viene richiamata da un insieme squisitamente “stile Fluxus” che ricorda i tempi in cui nessuno si sognava di pensare, nemmeno per un momento, che la storia fosse finita. Era la stagione del pensiero critico e ribelle di cui Giuseppe Chiari divenne un personalissimo e innovativo interprete, anche se per lunghi anni l’importanza della sua ricerca fu sottostimata. Azione, musica, poesia visiva, disegno tutto concorre nell’opera di Chiari ad indicare la strada di una liberazione possibile, quella che ci emancipa dalle gerarchie asfissianti imposte dagli ismi, dalle
regole del mercato e dai miasmi soffocanti di una mortifera e fintamente innocente ipercomunicazione.