Di nuovo, in questi giorni, il Medio Oriente è tornato al centro dell’attenzione sul piano internazionale. Le elezioni in Libano, lunghe e tormentate, sono state segnate da una vittoria del fronte anti-siriano anche se, dopo la decisione di Aoun di stringere un accordo con Damasco, gli Hezbollah sono determinanti per eventuali riforme. Successivamente, abbiamo assistito alla vittoria di Ahmadinejad nelle presidenziali in Iran, alle trattative segrete tra le forze di occupazione e la resistenza irachena ed all’inizio, terribilmente complicato, dello sgombero delle colonie israeliane da Gaza e Cisgiordania. Di fronte a tali avvenimenti, che potrebbero anche in prospettiva segnare i destini di una intera regione determinante per gli equilibri mondiali del XXI° secolo e sui quali faremmo bene ad interrogarci anche a sinistra, i commenti dei massimi vertici dell’amministrazione Usa, ai quali si è unito nientemeno che Simon Peres, sono, semplicemente, strazianti sul piano politico ed intellettuale, tali da offendere il comune buon senso.
Ricapitolando alcuni giudizi e commenti apparsi sui nostri quotidiani in queste ore, la vittoria di Ahmadinejad sarebbe stata determinata, come ovvio, dal carattere non democratico delle elezioni e potrebbe essere rovesciata da un fantomatico “Iran dei Giovani e delle Donne” (vedi, ultimo, Luttwak su Il Resto del Carlino di oggi). Al di là del richiamo alla ormai consolidata prassi dei tentativi, più o meno riusciti a seconda delle condizioni, di destabilizzazione controllata e mascherata da rivoluzioni floreali o colorate (l’elenco, dal gennaio 1997, comincia ad essere lungo: Bulgaria, Jugoslavia, Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Uzbekistan e Libano), le elezioni in Iran non sono considerate “democratiche” dal momento che molti candidati sono stati esclusi dalla competizione causa le loro opinioni. Vero, verissimo. Qualcuno spieghi, però, come possono essere state regolari le elezioni in Kosovo, con migliaia di serbi in fuga, Afghanistan ed Iraq, paesi sotto occupazione militare straniera. Qualcuno provi ad immaginare se è più democratico un sistema elettorale, come quello statunitense, dove i candidati realmente in grado di aspirare alla vittoria finale vengono selezionati sulla base del sostegno economico ricevuto dalle diverse e grandi lobbies economiche, politiche e militari destinate a condizionarne successivamente l’azione di governo. Anche in Italia, sempre più, per reggere i costi di una campagna elettorale di un certo rilievo occorre essere o ricchi di proprio o sostenuti dalle “persone giuste”. In Iran, ad ogni modo, il metodo non nasconde la sostanza. La vittoria del radicale Ahmadinejad è conseguenza diretta della guerra e dei tentativi di invasione e destabilizzazione del Medio Oriente da parte degli Usa, ai quali si somma l’impotenza della Ue. Le masse popolari, di fronte alla corruzione del regime, ai rischi di aggressione da parte di una potenza straniera ed all’assenza di una reale alternativa di sinistra, hanno semplicemente scelto l’integralismo, che promette intervento pubblico in economia, giustizia sociale e reale autonomia del paese di fronte alle continue minacce di aggressione. Un segnale chiaro ed inequivocabile. In questo contesto, le dichiarazioni di Simon Peres riportate sulla nostra stampa sono, semplicemente, scandalose, vergognose. L’Iran, pur se nella nuova versione, non costituisce certo per il Medio Oriente una minaccia maggiore rispetto ad Israele, definito dalla Conferenza ONU di Durban stato razzista e militarista. Israele potenza nucleare, che aggredisce e minaccia di aggredire, al contrario dell’Iran, altri paesi, Israele potenza imperialista e non meno integralista sul piano del rapporto religione-stato rispetto ad Iran ed Arabia Saudita. Se nella fase di crescente repressione nei Territori Occupati erano poche decine coloro che tra le file dell’esercito di Gerusalemme si rifiutavano di sparare ed arruolarsi (i famosi “Refusenik”, fenomeno ingigantito ad arte nella sinistra radicale a sostegno della non-violenza ideologica e della ormai prossima convivenza pacifica nella regione!), oggi le defezioni, anche ai vertici, rispetto allo sgombero dei coloni rischiano di estendersi a macchia di leopardo. Anche questo è un segnale, purtroppo. Forte e chiaro, che contribuisce a dimostrare quanto Peres avrebbe fatto meglio a tacere.
Sull’Iraq, infine, le acrobazie verbali di Rumsfeld sono degne della falsa provetta mostrata da Powell all’ONU a giustificazione della necessità di intervenire per distruggere le fantomatiche armi di distruzione di massa di Saddam, tentando di legittimare agli occhi dell’opinione pubblica mondiale l’ennesimo massacro di un popolo in nome degli interessi economici e geopolitica di Washington ed manutengoli vari, non ultima l’Italia di Berlusconi. A Washington, forse, hanno fatto i conti senza l’oste, tanto che oggi, di fronte alla tenace resistenza del popolo iracheno, Rumsfeld, il falco, il cinico, è costretto ad ammettere i contatti tra generali Usa e guerriglieri, giustificandoli poi con la necessità di isolare i combattenti stranieri ed “Al Qaeda”. Della serie, i resistenti iracheni riconosciuti, Zarkawi isolato. Una favola degna di miglior causa. Tutti sappiamo, ed alcuni (compreso il Carlino) scritto, che Zarkawi è l’ennesima invenzione dei servizi americani per tenere alta la tensione, una sorta di specchietto per le allodole, sul quale far convergere l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa e di tanti pennivendoli prezzolati. Anche in questo caso, però, la verità è semplice, balza agli occhi immediata: sono i rapporti di forza che hanno costretto gli Usa a trattare, perché la resistenza cresce e si diffonde ogni giorno in tutto il paese, nonostante continui massacri ed arbitrii commessi dalle forze di occupazione, sostenute da mercenari e collaborazionisti. Hanno distrutto Falluja (straziante ma istruttivo il video diffuso recentemente dal Diario), colpito centinaia di migliaia di innocenti, occupato una delle culle della nostra civiltà. Ed oggi sono costretti a trattare, alla faccia di chi considerava la resistenza del popolo iracheno molto simile al terrorismo, Resistenza con la “erre” minuscola. Alla faccia di chi ha considerato, anche in ambienti della sinistra radicale italiana, ormai presa solamente da pruriti di governo e legittimazione conseguente, le elezioni irachene un passo in avanti verso la democrazia, una bella novità. La bella novità, la sola bella novità, è il popolo iracheno che continua a resistere eroicamente di fronte al più grande esercito del mondo, anche se nessuno, oggi, può scrivere la fine della storia. Un esempio per altri popoli, governi, stati che, con o senz’armi, si battono ogni giorno contro l’arroganza dell’imperialismo.