Il sergente Hassan Batal ha un’uniforme nuova, un mitra M-16 lucidato alla perfezione e l’atteggiamento del soldato sicuro del fatto suo. Insomma nulla da invidiare (tranne lo stipendio) ai suoi colleghi stranieri che operano nell’Unifil II che si sta dispiegando nel Libano del sud. «Da qualche tempo ci addestriamo bene e abbiamo ricevuto pezzi di ricambio per i nostri automezzi come non accadeva da tempo», spiega il militare libanese schierato con altri tre soldati a protezione di un posto di blocco a sud di Beirut. Ma che l’apparenza sia il più delle volte ingannevole è prontamente dimostrato dalla vecchia camionetta a disposizione del sergente Batal: divorata dalla ruggine, con un motore sofferente e sempre sul punto di spegnersi. «Purtoppo i pezzi di ricambio non bastano a modificare la nostra situazione, i mezzi di trasporto che abbiamo sono vecchi e andrebbero demoliti ma non ne abbiamo altri», aggiunge il militare con un certo imbarazzo. Non stanno meglio di lui i soldati inviati nel sud del paese, impegnati più nella manutenzione dei loro vecchi M113 che nelle attività di sorveglianza.
Gli Stati Uniti quest’anno hanno versato nelle casse del ministero della difesa libanese poco più di 10 milioni di dollari, con i quali sono stati rimessi in moto autocarri e blindati che da anni non uscivano dalle caserme. Più di cento ufficiali libanesi inoltre hanno partecipato a programmi di formazione nelle accademie statunitensi mentre altri due milioni di dollari l’Amministrazione Bush li ha messi a disposizione delle unità libanesi «antiterrorismo». La generosità americana tuttavia non è beneficenza, al contrario conferma che la delicata partita politica libanese si gioca su molti tavoli. Anche il malandato esercito libanese è destinato diventare un elemento centrale nelle vicende future del paese. La novità più importante è avvenuta a fine di agosto, al termine della devastante offensiva militare israeliana: quindicimila soldati libanesi da allora presidiano il territorio meridionale del paese – terreno incontrastato fino a qualche settimana prima della guerriglia di Hezbollah – e per la prima volta da diversi decenni, pattugliano la frontiera con Israele, con l’«assistenza» dei soldati della Unifil, sulla base della risoluzione 1701 dell’Onu sempre oggetto di interpretazioni diverse. Per il premier Fuad Siniora e per i partiti filo-Usa suoi alleati (il cosiddetto fronte del «14 marzo» schierato contro la Siria e Hezbollah), l’invio dell’esercito nel sud del Libano e l’arrivo della forza internazionale sono una prima rappresentazione della recuperata «sovranità» nazionale. Una posizione largamente condivisa da Washington e da vari governi europei che sostengono la riorganizzazione dell’esercito libanese in funzione anti-Hezbollah.
Al momento i soldati libanesi sono 45mila (più 15 mila riservisti) e hanno a disposizione 310 carri armati e centinaia di autocarri e jeep costruiti negli anni ’50, 23 elicotteri Huey (quelli della guerra del Vietnam), 27 motovedette antiquate prive di sistemi radar moderni e una decina di velicoli leggeri da ricognizione. L’ultima volta che l’aviazione militare è entrata in azione – vecchi aviogetti ora non più operativi – è stato alla fine degli anni 80, in sostegno del capo provvisorio del governo, il generale Michel Aoun, durante i combattimenti tra favorevoli e contrari agli accordi di Taif per la fine alla guerra civile. L’attuale capo di stato maggiore libanese, Michel Sliman, con l’appoggio del presidente Emile Lahoud, ha chiesto al governo di costruire un esercito in grado di difendere il Libano da nuove offensive israeliane e ha perciò suggerito di acquistare elicotteri da combattimento Apache e Cobra, mezzi corazzati dell’ultima generazione, navi per la difesa costiera, sistemi moderni di contraerea e artiglieria pesante. Invece Usa, Gb e Francia, principali finanziatori del programma di ammodernamento dell’esercito, non hanno alcuna intenzione di garantire a Beirut armamenti costosi e sofisticati. Per questi paesi, ha spiegato Nicholas Blanford, un esperto di Jane’s Defence Weekly, «l’esercito libanese in futuro dovrà garantire più di ogni altra cosa la stabilità interna e dimostrare, con la sua organizzazione ed efficienza, che non c’è più bisogno della milizia islamica (la guerriglia di Hezbollah)». Un disegno che non necessariamente si realizzerà. Hezbollah e i suoi alleati potrebbero porre il veto (e non solo quello) a programmi concordati con gli Stati Uniti che non sono volti a garantire la difesa del Libano. Vi sono poi le pressioni di Israele. Il mese scorso il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Steven Hadley, ha spiegato i piani americani a due inviati di Ehud Olmert, risultando però poco convincente. Tel Aviv è contraria alla consegna al Libano di armamenti sofisticati, anche leggeri.