L’Apocalisse del Capitalismo

La scalata esponenziale del prezzo del petrolio, la caduta a picco del dollaro e il crollo dei mercati finanziari sono gli ingredienti chiave di una situazione che supera di gran lunga la recessione ordinaria. La caduta del dollaro e l’aumento del prezzo del greggio ha caratterizzato l’economia mondiale già da molto tempo, ma è stata la drammatica implosione dei mercati finanziari a generare il panico tra l’alta finanza. Alcuni attori chiave del mercato sembrano più rasseganti che terrorizzati alla prospettiva di un’Apocalisse economica. Durante la festa annuale dell’elite mondiale a Devos, lo scorso gennaio, George Soros è stato chiaro nel dire che il mondo è “testimone della fine di un’era”. L’anfitrione del Foro Economico Mondiale, Klaus Schwab, ha avvertito dell’imminente arrivo delle nefaste conseguenze del capitalismo: “Dobbiamo pagare per i peccati del passato. La gente si chiede quale siano i limiti del sistema capitalista. E crede che il mercato non sempre sia il miglior meccanismo per risolvere un problema”. Il fantasma della sovrapproduzione:Un membro di una società finanziaria che scrive sul Financial Times, ha descritto fedelmente il problema fondamentale che si nasconde dietro le manie speculative, quando ha sostenuto che “c’è stata una crescente sconnessione tra l’economia reale e l’economia finanziaria degli ultimi anni. L’economia reale è cresciuta…ma nella stessa misura dell’economia finanziaria, che è cresciuta ad una velocità molto maggiore…fino ad arrivare ad esplodere”. Quello che non dice l‘analista, è che la disomogenità tra il reale ed il finanziario non è nulla di accidentale, ma al contrario, l’espansione dell’economia finanziaria ha dovuto riequilibrare il crollo dell’economia reale. Questo divario tra il finanziario ed il reale non si può capire pienamente se non ci si riferisce alla crisi di sovrapproduzione che ha colpito le economie centrali alla fine degli anni settanti e negli ottanta. Il periodo dorato del boom economico post Guerra mondiale, si è basato sulla nascita di una grande domanda effettiva, riuscita grazie all’aumento dei salari dei lavoratori del Nord, alla ricostruzione dell’Europa e del Giappone, e all’industrializzazione per via delle importazioni in America Latina e negli altri paesi del Sud. Tutto ciò si è conseguito attraverso l’intervento dello Stato nell’economia. Questo periodo dinamico è arrivato alla conclusione alla metà degli anni settanta, quando la recessione è iniziata ad innalzarsi, grazie al superamento della capacità produttiva sulla domanda mondiale, e l’acutizzazione delle disuguaglianze nelle distribuzione dei guadagni. Tra il 1980 ed il 1990, il capitale mondiale ha intrapreso tre strade per scappare dal fantasma del crollo Finanziario. Una è stata quella della ristrutturazione neoliberale, che ha implicate la ridistribuzione dei guadagni nei settori più alti (attraverso la riduzione delle imposte ai ricchi), la deregolamentazione e gli attacchi sistematici ai lavoratori organizzati. Il neoliberismo ha adottato la forma del Thatcherismo e del Reaganismo nel Nord sviluppato, e delle misure strutturali imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel Sud globale. Un’altra strada è stata quella della globalizzazione diretta dalle multinazionali o “accumulazione ampliata”, che ha aperto i mercati del mondo in via di sviluppo e ha mosso i capitali dalle zone con i salari alti a quelle con quelli bassi. Come ha detto Rosa Luxemburg, il capitale ha bisogno d’integrare costantemente le società pre-capitaliste al sistema capitalista per compensare la caduta del tasso d’interesse. La terza strada è quella “dell’accumulo intensivo” o “finanziarizzazione”, ovvero la canalizzazione degli investimenti verso la speculazione finanziaria, con guadagni molto superiori a quelli dell’industria. Il capitale finanziario ha forzato l’eliminazione dei controlli sulle risorse economiche, ed il risultato è stata la globalizzazione del capitale speculativo, che ha aprofittato dei vantaggi differenziali nelle tasse d’interesse e dei cambiamenti di valuta nei differenti mercati. Questi movimenti, risultato della liberazione del capitale, sono stati una grossa fonte d’instabilità. Un’altra è stata la proliferazione di strumenti nuovi e sofisticati di speculazione finanziaria, che evitano il controllo e la regolamentazione. Per ultimo, l’instabilità ha avuto origine nello sforzo supremo delle politiche speculative per esprimere più valore del valore già creato, invece di creare valore nuovo, visto che quest’ultima opzione è esclusa dal sistema della sovrapproduzione nell’economia reale. Lo scollamento tra economia reale ed economia finanziaria virtuale si è evidenziato negli anni ‘90. Con i guadagni dell’economia reale in ribasso, i soldi degli investitori sono volati in massa nel settore finanziario. Il funzionamento ed i risultati di questa economia virtuale sono stati esemplificati dall’innalzamento immediato delle azioni delle compagnie Internet quotate in borsa. Ma la divergenza tra gli indicatori finanziari momentanei, come i prezzi dei titoli, ed i valori reali, non poteva sopportarsi per molto. E il limite è stato raggiunto nel 2002, con il collasso delle imprese on-line, che ha risucchiato un capitale d’investimento di 7 bilioni di dollari. La grande recessione è stata evitata, ma solo grazie alla crazione di un’altra bolla di sapone, quella ipotecaria, e per fare ciò, Greenspan ha avuto un ruolo chiave, riducendo le tasse al livello più basso degli ultimi 45 anni, nel luglio 2003. Dopo averle mantenenute stabili per un anno, si è proceduto ad incrementarle in maniera graduale. Come dice Dean Baker “un aumento senza precedenti del mercato dei valori ha spinto l’economia statunitense alla fine degli anni novanta, e adesso un aumento senza precedenti dei prezzi delle case, stà promuovendo il recupero attuale”.