Lanzillotta e la pulsione liberalizzatrice sui beni pubblici. Solo l’acqua si salva

La descrizione dello stato dell’arte in materia di servizi pubblici locali è particolarmente complessa. E’ dal 2000 che almeno a cadenza annuale si susseguono variazioni anche profonde sulle modalità di gestione dei servizi pubblici locali. Come è noto, con l’art. 35 della legge Finanziaria per il 2002 (legge 448/2001) fu previsto l’affidamento dei servizi pubblici locali solo a società di capitali mediante gara o mediante ricorso a Spa miste, con il socio privato al 40%, scelto con gara. Comunque, molti enti locali disattesero le previsioni dell’art.35 anche in conseguenza di una forte mobilitazione sociale. A fronte di queste difficoltà, Tremonti e Buttiglione, con l’art. 14 del dl. 269/2003, introdussero la facoltà per gli enti locali di scegliere tra più forme di gestione: la gestione con società a totale capitale pubblico (in house), il ricorso alla gara o alla società mista. Nel dicembre del 2004 il ministro Matteoli emanò una circolare che pose limiti pesanti agli enti locali per la gestione in house del servizio idrico. Sempre nel 2004 con la legge 308, in materia di delega ambientale, si rese impossibile la gestione in house del trasporto pubblico locale, anche se, tramite una serie di decreti legge, furono poi accordate alcune proroghe per il settore. Oggi, pertanto, per l’accumularsi di una serie di norme emanate tra il 2004 e il 2006 la situazione legislativa si presenta assai articolata, e, complessivamente, assai preoccupante: nel servizio idrico è possibile ma difficile la gestione in house; nel ciclo dei rifiuti è prevista la gara, nel trasporto pubblico locale idem (salvo la proroga a fine anno per le situazioni in essere, mentre è impossibile ricorrere a nuovi affidamenti in house). Il risultato è che numerosi enti locali in questi mesi – di fronte ad una situazione confusa – stanno prorogando temporaneamente contra legem le gestioni esistenti di Spa miste o di Spa al 100% pubbliche. Né si deve dimenticare che per energia elettrica e gas da diversi anni la gestione in house non è possibile.
Con la proposta contenuta nel recente disegno di legge Lanzilotta (ddl S772) si giunge all’atto finale, con la definitiva soppressione delle residue possibilità di gestione diretta dei servizi pubblici da parte degli enti locali. La regola diviene la gara attraverso la quale il soggetto imprenditoriale vincente gestisce il servizio. La gestione diretta da parte di una società interamente pubblica mista vengono di norma escluse. Né ci si può illudere che le eccezioni previste possano rappresentare una via di uscita, dato che queste non solo debbono essere motivate al cospetto dell’Antitrust ma vanno comunque superate entro un periodo di tempo determinato. E se qualcuno avesse dei dubbi sulle intenzioni dei proponenti il disegno di legge, va considerato che per le gestioni in house e miste comunque non ci si può allargare ad altri settori o fuoriuscire dall’ambito territoriale di inizio attività. Una disposizione contenuta in questo disegno di legge, ma già cripticamente presente nel decreto Bersani. Il che significa impedire alle residue aziende pubbliche o partecipate dal pubblico ogni possibilità di espansione anche nella fase temporalmente limitata della loro sopravvivenza.

L’unica eccezione è rappresentata dalla gestione del servizio idrico su cui il ddl Lanzillotta non interviene, a seguito dell’accordo sottoscritto fra le forze dell’Unione e contenuto nella piattaforma programmatica del governo. Il che è certamente positivo, anche se va considerato – come si è già puntualizzato – che la situazione è stata in parte compromessa da precedenti atti legislativi. Nel complesso, quindi, un attacco poderoso viene sferrato alla gestione in house dei servizi pubblici locali. A parte gli altri servizi sparirà, presumibilmente, l’attuale gestione pubblica delle farmacie, ma questo approdo era atteso, essendo già stato previsto – ahinoi – nel programma di governo dell’Unione. Né è destinata a salvarsi la parte più cospicua dell’attuale gestione pubblica, quella cioè rappresentata dalle società miste a prevalente proprietà pubblica che costituiscono il cuore pulsante del sistema Conferservizi/Cispel.

La battaglia contro il ddl prossimamente in discussione costituisce quindi un momento decisivo. Le pulsioni liberalizzatrici, già presenti nel decreto Bersani, si stanno ora propagando a settori ben più delicati, compromettendo ciò che resta della gestione pubblica. Il carattere in larga misura ideologico delle motivazioni che spingono a questa misura rende ancora più allarmante l’operazione in atto perché essa rifugge da una seria analisi di merito degli effetti concreti delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni (come esemplarmente dimostra la recente vicenda Telecom). L’esito più probabile della nuova normativa, se approvata, sarebbe quindi il recupero di ingenti risorse per comprimere il debito e di converso il peggioramento della qualità dei servizi. Per questo essa va contrastata. Il riferimento resta quello della pluralità dei sistemi di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali e della attribuzione alle autonomie locali della potestà decisionale. Un orientamento verso cui tendono anche le associazioni dei comuni che, per quanto tradizionalmente inclini ad accettare le logiche liberalizzatici, sono ora giustamente preoccupate delle disposizioni contenute nel ddl. Peraltro, non sarebbe curioso che un iperliberismo dirigista finisca con il ledere gli stessi principi del liberalismo gettando alle ortiche – in particolare – il principio della libertà di scelta?