L’annuncio di Chiti dopo l’ultimo incontro con i dissidenti

«Siamo dei ribelli responsabili, molto responsabili»… al termine dell’incontro atteso tra i “dissenzienti” e Chiti, il nodo Kabul si scioglie. Sul ddl il governo porrà una doppia fiducia. Una sull’articolo 2 una sull’intero testo del disegno di legge. I “dissenzienti” hanno ottenuto il via libera per presentare in aula domani degli ordini del giorno «ispirati – precisa infine Bulgarelli – alle parti che più ci convincono della mozione approvata alla Camera». Ordini del giorno che non sono ancora stati elaborati, il cui contenuto
si conoscerà probabilmente oggi, ma che saranno «di pace e molto accoglibili», aggiunge Gianpaolo Silvestri, altro senatore verde che fa parte del gruppo degli “otto”.
«Nessuno di noi – aggiunge l’esponente dei Verdi – ha mai voluto far cadere il governo, sono sciocchezze. Non vogliamo che il governo muoia su Kabul, vogliamo che viva per Kabul e per fare un’altra politica estera per la gente in carne ed ossa dell’Afghanistan».

«Quella raggiunta? – aggiunge Grassi (rc) – E’ un’intesa che valutiamo positivamente. C’è stato un riconoscimento politico del nostro dissenso e del nostro punto di vista. Resta il dissenso sul Ddl e questo lo dichiareremo in aula – aggiunge Grassi – ma voteremo la fiducia perché ci sentiamo pienamente parte di questo governo. La fiducia al governo non è in discussione». Malabarba, ancora, precisa: «Abbiamo apprezzato la disponibilità all’ascolto – seppur tardiva – da parte del governo, e in particolare l’impegno personale del ministro per i rapporti col parlamento Chiti, che ci consente di verificare la concretizzazione di una strategia d’uscita dalla guerra in Afghanistan. Naturalmente, se questa non ci sarà nei prossimi mesi, non ci sarà altro voto di fiducia al governo e non solo da parte di qualche “dissenziente”: se qualcuno dovesse parlare di nostra resa, io mi permetterei di rispondere che semmai il
nostro è un ultimatum».

Sta di fatto che quell’intesa che sembrava così concretamente difficile da raggiungere, perlomeno sino all’ultimo summit di Prodi, ora è una realtà. E non ha pesato poco la posizione di Rifondazione che compatta ha posto sul tavolo dell’Esecutivo la sua condizione: «Se c’era una condizione richiesta dal governo – sottolineava ancora ieri Gagliardi – ora quella condizione – la fiducia – c’è».

E la fiducia acquista una sua validità sostanzialmente politica soprattutto contro i tentennamenti, contro quelle maggioranze variabili e trasversali, contro quelle forze centriste che proprio sul nodo Kabul erano venute, e immancabilmente, allo scoperto.

«Noi? – spiega Giovanni Russo SPena, capogruppo al Senato del Prc – condividiamo e apprezziamo la scelta di porre la fiducia. Sia nel voto sull’articolo 2 del Ddl sia sul voto finale. In questo caso infatti – precisa – la fiducia non costituisce una forzatura né tantomento un ricatto. E’ invece lo strumento più trasparente per dimostrare che, anche di fronte a divergenze all’interno della coalizione, la necessità di difendere il governo e di non snaturare la maggioranza è l’esigenza prioritaria per tutta l’Unione».

A confermare l’orientamento già espresso da Prodi è lo stesso Chiti. La fiducia «non significa un rifiuto del confronto con l’opposizione, ma è lo strumento che esiste per esprimere la diversità, insieme allo spirito di coalizione». Con i “dissenzienti” – spiega il ministro – «c’è stato dialogo e nessuna proposta di scambio». «Tenuta della maggioranza – aggiunge Giordano – che ora c’è. Penso – sottolinea lo stesso segretario Rc – che sia stato importante aver l’autosufficienza dell’Unione: del resto – spiega – abbiamo sempre puntato all’autosufficienza della maggioranza».

Lo stesso presidente della Camera dopo l’annuncio di Prodi, aveva del resto concordato con la decisione assunta dal premier. Il ricorso alla fiducia da parte del governo, aveva commentato Bertinotti durante la cerimonia del ventaglio, sarebbe una scelta «comprensibile». «Non sono ancora il presidente del Consiglio – aveva aggiunto la terza carica dello Stato rispondendo a una domanda di una cronista – però se lo fossi guarderei a questa prospettiva con grande interesse». Una prospettiva che al momento blocca, perlomeno sulla questione Afghanistan, la ricerca “tout court” di quelle maggioranze variabili tanto auspicate anche dai centristi dell’Unione. E la conferma proviene direttamente dai toni piuttosto accesi con cui hanno accolto la notizia gli esponenti della Casa delle libertà. «Blindare con la fiducia il voto al Senato sul rifinanziamento della missione Enduring Freedom è un errore» tuona Angelo Sanza, deputato forzista. E soprattutto perché «si impedisce che si formi una larga maggioranza a sostegno dei nostri militari in Afghanistan». Infine, non poteva mancare il commento dell’ex presidente Cossiga. Sul rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero «la mia intenzione di voto è contraria, ma se dal mio voto negativo sulla questione di fiducia dovesse dipendere in Senato la vita del governo, non voterò no». E il perché è presto detto. «Non vedo – conclude Cossiga – un’altra alternativa a questo Esecutivo».