Lanerossi: fine di un mito

La bicentenaria fabbrica tessile di Schio (Vi) chiude i battenti e mette in mobilità 125 lavoratori. Con essa va in fumo un pezzo di storia, l’emblema di un impero tessile la cui eco ha da tempo oltrepassato i confini del Veneto.

Si è scritto il capitolo finale al romanzo Lanerossi.
Ebbene sì: quello che sembrava un mito senza fine, quell’industria creata dal paternalismo del Conte Rossi, oggi non esiste più neanche come stabilimento che funzioni per conto di terzi. Dalle ferie di questo agosto anomalo da un punto di vista meteorologico è nata un’altra anomalia: la chiusura, in violazione di tutte le norme non scritte di decenza nei rapporti fra le parti sociali, dello stabile scledense Lanerossi.
Alla ripresa i lavoratori si sono trovati senza posto di lavoro e i macchinari, finché le persone erano al riposo, sono stati trasferiti all’estero e nella sede centrale di Valdagno e 125 lavoratori sono stati messi in cassa integrazione, prossimi al licenziamento per mobilità.
Il sindacato e le RSU sono stati messi di fronte al fatto compiuto, senza margine di trattativa.
Da quando il Gruppo laniero di Valdagno ha acquistato dall’ENI l’azienda era prevedibile che ciò avvenisse: negli anni ‘60 la Lanerossi occupava nei propri stabilimenti all’incirca 20.000 dipendenti, nell’ultimo periodo prima che la Marzotto decidesse la chiusura, solo 160.
Già nel 2000, nella prima fase in cui la dirigenza Marzotto fece capire che non gli interessava più investire, per la propria produzione, in Italia (primi licenziamenti massicci in Lanerossi), noi comunisti di Rifondazione avevamo pronosticato, da “buone cassandre”, che sarebbe stato l’inizio della fine: nessuno, né il centrosinistra allora al Governo dell’Italia né gli enti locali, ci aveva voluto credere. Ci sarebbe comodo ora fare i “grilli parlanti” di “collodiana” memoria ma non servirebbe a nessuno tanto meno ai lavoratori! Siamo stati gli unici a quel tempo a lottare veramente con i dipendenti e questo loro l’hanno sempre riconosciuto.
Quando alla Lanerossi di Schio c’era ancora una massa critica di lavoratori in grado di produrre lotte e movimento ci si poteva battere, si poteva ancora sconfiggere la manovra padronale. Invece le lotte sono state spezzate, parcellizzate, sincopate. Solo Schio ha reagito con un forte sciopero affiancato dagli studenti e dalla cittadinanza; Valdagno non si è mossa. Piovene, altro stabilimento Lanerossi oggi di proprietà di un’altra società, idem. Il sindacato è rimasto nel mezzo del guado della logica di concertazione (già nei fatti morta e sepolta).
Cosa volete che siano 160 lavoratori e lavoratrici della Lanerossi/Marzotto ?
Un granello di sabbia dentro un tornado. Eppure è un granello di sabbia che a noi è caro, al quale siamo tenacemente attaccati.
I lavoratori di Schio questo lo sanno, ci conoscono, ed è per questo che l’intero Consiglio di fabbrica incontrerà il Circolo locale del PRC.
Il partito tutto si sta mobilitando, dalla federazione ai singoli circoli interessati da siti produttivi Marzotto, per far capire una cosa soltanto: solo uniti si vince !
Come Dip. Enti Locali della Federazione di Vicenza stiamo mobilitando i nostri Consiglieri Comunali, attraverso interrogazioni e ordini del giorno, ma la richiesta principale è quella di un Consiglio Comunale unitario dei comuni dell’alto vicentino che hanno lavoratori in Marzotto (Recoaro Terme, Valdagno, Cornedo , Schio, Trissino, Castelgomberto, Piovene Rocchette, Brogliano), per discutere del futuro con l’azienda e i Sindacati, affinché questo caso diventi il caso sociale di tutta la realtà e non solo dei diretti interessati.
Se non verrà capito questo, dalle istituzioni locali alle forze della cosiddetta Unione, che, oltre a dichiarazioni simboliche, non fa nulla ci aspettiamo “tempi bui” per tutti i lavoratori e le lavoratrici del Gruppo Marzotto.
Noi intanto ci siamo e stiamo mettendo in campo tutto il possibile per salvare i 125 posti di lavoro alla Lanerossi di Schio.

*Operaio Marzotto SPA, Capogruppo PRC Comune di Recoaro Terme