La nostra giustizia è in uno stato comatoso quasi irreversibile. Rifondazione Comunista, che da tempo ha presentato in Parlamento una proposta di amnistia e di indulto, considera importante che finalmente, dopo anni, in Parlamento si possa discutere di un atto di clemenza, rispetto al quale non è stato possibile votare negli ultimi 15 anni, malgrado che l’amnistia e l’indulto facciano parte integrante del nostro ordinamento costituzionale (dal 1947 al 1990, siano stati approvati ben 49 provvedimenti di clemenza). Di fronte alla situazione intollerabile delle nostre carceri e del nostro sistema penale, tutti gli operatori sono concordi nel ritenere che un atto di clemenza sia non solo necessario, ma urgente, indispensabile e non più procrastinabile. Nel lontano 2002, l’attuale Ministro della Giustizia diceva: «La situazione penitenziaria italiana è critica: a fronte di una struttura carceraria per 41 mila posti, oggi, i detenuti sono 56.200 e ciò perché dal 1990 in poi non sono state più concesse amnistiei». In quell’occasione, il Guardasigilli aveva anche dichiarato che, però, dal suo arrivo al ministero, le cose stavano “finalmente” cambiando: “nel carcere di San Vittore siamo riusciti a ridurre da 2.200 a 1.400 il numero dei detenuti e, per fine anno, questi diminuiranno ulteriormente diminuiti fino ad arrivare a meno di mille”. Ebbene, ho visitato San Vittore il giorno di Natale e ho costatato di persona che i detenuti sono oltre 1.500; in molti reparti la situazione è addirittura peggiorata: 6 in una cella prevista per una sola persona, con cuccette che impediscono, di aprire le finestre di quelle mura contornate da sbarre di ferro. Il Ministro proponeva anche la soluzione: «ricorreremo ai carceri in leasing, un’operazione che ci permetterà di costruire nuove strutture in tre, quattro anni, anziché nei dieci finora necessari». Ebbene, non uno degli impegni tesi a rendere le carceri meno disumane e la giustizia più celere, efficiente, più garantista, per tutti e non solo per gli imputati eccellenti, è stato mantenuto. Quotidianamente la nostra giustizia, civile e penale, è passata da uno stato di collasso reversibile a uno stato comatoso quasi irreversibile: sono aumentate, contemporaneamente, inefficienza e disumanità; si sono violate, continuamente e dolosamente. le leggi e la Costituzione. Dobbiamo uscire dalla logica per cui l’unica sanzione penale prevista dal nostro ordinamento sia quella carceraria. Vi sono altre sanzioni, più efficaci ma meno disumane che eviterebbero, in presenza di reati non gravi, l’ingresso in quel circuito infernale che è il carcere. Ebbene, rispetto a quella situazione che, già nel 2002, il Ministro della Giustizia considerava “critica”, la realtà è ulteriormente peggiorata. I detenuti sono oltre 60 mila ed è composta soprattutto da tossicodipendenti, immigrati, emarginati ecc. (solo il 12% è in carcere per reati di criminalità organizzata o per gravi delitti). Oltre 10 mila sono i detenuti che debbono scontare una pena inferiore a un anno (il che significa, evidentemente, che non hanno commesso reati gravi); circa 7 mila debbono scontare una pena non superiore a due anni. A questi vogliamo dare la possibilità di poter uscire da una situazione disumana e illegale, con un provvedimento che sia anche, e contemporaneamente, in grado di garantire la collettività e tutelare le vittime dei reati. L’amnistia e l’indulto non sono un atto di buonismo istituzionale, ma di saggezza politica, oltre che di corretta applicazione di norme costituzionali. Ma molte altre sono le ragioni che ci fanno propendere per un provvedimento di clemenza. Basti pensare al livello di illegalità presente negli istituti penitenziari: i detenuti sieropositivi sono il 7,5%, quelli positivi all’epatite C sono il 36%; l’8% è affetto da epatite B, mentre il 27% rischia la tubercolosi. Né si deve dimenticare l’ingente somma, oltre 3 miliardi di euro, spesa negli ultimi decenni per mantenere in carcere le decine di migliaia di detenuti tossicodipendenti, emarginati, immigrati, indigenti, che hanno commesso reati causati dalle condizioni sociali e/o psico-fisiche, senza peraltro creare le premesse per la loro disintossicazione o il loro reinserimento. Somme ingenti con le quali sarebbe stato possibile assumere circa 2 mila magistrati per i tribunali di sorveglianza e oltre 2 mila educatori; sarebbe stato possibile, se solo si fosse voluto, incentivare aziende e cooperative disponibili ad assumere migliaia di detenuti o ex detenuti e costituire una rete di accoglienza per una moltitudine di persone che, dopo aver scontato la pena, non avevano quel minimo di accoglienza necessaria per evitare di ritornare nel circuito della droga o di diventare prigionieri della piccola o grande crminalità. Siamo sempre più convinti che sia non solo possibile, ma doveroso, coniugare diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti. E che la giustizia non si debba identificare nella forza così come la forza non si debba coniugare con la giustizia: l’una sarebbe impotente; l’altra sarebbe tirannia. Non a caso, Sandro Pertini era solito ripetere una frase che molti non dovrebbero mai dimenticare: «Non disprezzate i galeotti, perché tra loro c’è sicuramente qualcuno migliore di voi».