L’«altra» guerra in Iraq

Danny Schechter racconta «Armi di inganno di massa», i media Usa e il conflitto
Reporter «embedded», minacce , tutte le strategie dell’amministrazione Bush per controllare l’informazione e garantirsene complicità. «Si deve chiarire questo punto per non dire che è stato un errore. Sono stati commessi crimini di guerra e i giornalisti ne sono responsabili»

ROMA
Danny Schechter è stato a lungo giornalista televisivo, ha frequentato studi, scritto libri, il «sistema» lo conosce bene e in modo diretto. Infatti soltanto qualcuno con la sua esperienza poteva realizzare Weapons of Mass Deception (Armi di inganno di massa) documentario che smaschera il ruolo dell’informazione americana nella guerra in Iraq mostrandone censure, autocensure, complicità, cooptazione seduttiva messa in atto dall’amministrazione Bush. Ma anche minacce, denunce, aggressioni deliberate – e l’esempio citato a proposito è il bombardamento dell’hotel Palestine a Bagdad – di tutti quei reporter che hanno rifiutato di allinearsi. Su ottocento esperti andati in onda – ci dice Schechter – dalla preparazione alla guerra fino alla caduta della statua di Saddam nella capitale irachena, il 9 aprile del 2003, solo sei erano contrari all’intervento militare. Non solo. Il comando militare americano, come spiega il generale Tommy Franks, mette a punto riguardo all’Iraq un piano segreto dove i media da «quarto potere» diventano «quarto fronte» della guerra. Nasce così il giornalista «embedded». In un clima di nuova caccia alle streghe chi esprime il minimo dubbio diventa un terrorista mentre i grandi media anche per mantenere un accesso privilegiato al potere, non azzardano la minima critica. L’idea del giornalismo «embedded» però è ancora più sottile. Si prendono giornalisti selezionati, si sottopongono a un training mirato sul pericolo delle armi chimiche e poi si portano in Iraq dove vivono insieme ai soldati. «Abbiamo condiviso le tempeste di sabbia e la mancanza di cibo. Conoscevo i soldati uno per uno e non potevo che essere dalla loro parte. Il mio unico problema era diventato chiedermi come avrei reagito se fosse capitato qualcosa a uno di loro» racconta un’inviata. Non è l’unica a farsi catturare da questo «perverso» gioco di solidarietà. Quasi tutti ammettono un coinvolgimento emotivo tale che li priva di lucidità d’analisi, a cui si aggiungono protagonismo, competività, l’ansia di lasciare un segno personale più che di raccontare le cose. Schechter sessantottino a Parigi insieme a Daniel Cohn Bendit e Alain Geisner, oggi si definisce un «news dissector», un dissezionatore dell’informazione. Giornalista tv per Abc da cui se ne è andato perché l’informazione era diventata show-business, e un lavoro sui media che risale agli inizi degli anni novanta, quando è tra i primi a denunciarne la deriva nella strategia dell’inganno delle ideologie teocon, Schechter dirige oggi il sito www.mediachannel. org il più grande network sulla «sorveglianza» dell’informazione. Weapons of Mass Deception arriva ora in Italia (distribuisce l’Unità domani, euro 9.90) nell’edizione italiana curata dal tekfestival. «È molto importante mettere a fuoco la complicità dei media altrimenti si dirà che è stato un errore e molti potenti se la caveranno. La guerra in Iraq invece è un crimine di cui i giornalisti si sono resi complici. Quanti hanno mostrato cosa è accaduto a Falluja negli Stati uniti? Di questo come di molto altro non si è mai parlato. Le persone che continuano a stare lì dovrebbero essere dichiarate responsabili per questi crimini» dice Schechter nell’incontro romano di lancio del film.

Negli Stati uniti naturalmente Armi di inganno di massa non ha avuto finanziatori. Nessuno voleva essere coinvolto in questo progetto poco glamour che ha però l’appoggio di Tim Robbins (protagonista del trailer). Tutta l’operazione compresi manifesti e pubblicità è costata 200.000 dollari. Certo non fa piacere ai suoi «protagonisti» vedere scoperte le loro strategie. Che sono a tutto campo, riguardano la forma, l’uso della macchina a mano per un effetto «verità», il racconto della guerra in chiave di intrattenimento spettacolare . Il controllo dice un giornalista non è qui ma a Washington. Christine Amanpour, volto di punta di Cnn critica il condizionamento e il ruolo dell’amministrazione per essere sostituita da Victoria Clark, portavoce del Pentagono. La deriva per Schechter ha comunque radici lontane – «Murdoch è solo un aspetto di un problema più complesso» dice. E aggiunge: «ricordo che eravamo a una manifestazione contro la guerra in Vietnam a Berkley, c’erano intellettuali presitigiosi tra cui Sartre. Per tutto il giorno l’inviata di un grosso network è rimasta in piedi sul palco a dire che era tutta propaganda vietnamita, che il napalm e il resto erano invenzioni. Trentacinque anni dopo il suo programma, Sixty minutes, è tornato in Vietnam coi vecchi soldati, e ha detto che erano stati commessi crimini di guerra di cui il nostro governo dovrebbe dichiararsi responsabile. Ma questo quando ormai è troppo tardi. Dobbiamo aspettare altri trentacinque anni per parlare dell’Iraq?».