Lacrime e sangue, parola di Padoa Schioppa

Gli soccorre Heminguay per dire del timore di «giungere a riva con la sola lisca nuda e spoglia del pesce tanto faticosamente arpionato», un timore superato ora che la finanziaria sta andando in porto. Molte le immagini, come di consueto, che il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa ha inserito nella ferma difesa, ieri in senato, della sua manovra. Ma non poteva mancare, approdando dal mare a terra, la metafora che ci perseguita da circa un ventennio, «il treno», a trasformare una relazione della nostra quotidianità in minaccia ansiogena. Sponsor Cesare Romiti, la svolta della Fiat verso la «qualità totale» già ci fu imposta con un imperativo «il treno sta partendo». E in ansia fummo poi sempre indotti dai governi dagli anni ’90 in poi: «il treno della ripresa», da non perdere, il «convoglio europeo» su cui aggrapparci all’«ultima carrozza» prima che svanisse all’orizzonte lasciandoci a piedi, negletti e declassati in serie B dai partner veleggianti nell’ euro.
Padoa Schioppa non ha mancato ieri di tributare un omaggio al passato, a quella impresa dell’euro all’origine di ogni possibile salvezza. E nel presente è sempre il contesto europeo, la Commissione Ue che controlla l’Italia su deficit e debito – tasto particolarmente sensibile per Padoa Schioppa, già membro della Banca centrale a Francoforte, ad onta che lui sostenga «contenere i conti è una necessità interna, anche senza la Ue» – che il ministro evoca, ricorrendo di nuovo al «treno». Ma questa volta è un convoglio che corre a precipizio verso il baratro dell’insolvenza del «Paese», dunque va bloccato, e la finanziaria per ilo ministro ci riesce con perizia. «Si ferma un treno in corsa e lo si fa operando sul motore, non solo sul freno, con misure permanenti, non con palliativi» – vanta nella sua arringa.
Certo, si dice consapevole che questa grande operazione possa non essere capita nel «Paese», che susciti conflitti e proteste: ma «oggi», domani invece tutti (o quasi) capiranno il valore di questa operazione. L’esempio che sceglie, a dir la verità, non pare felice: è il «Tfr», che ha scatenato solo «un fuoco di paglia violento e fatuo, e la riprova è che non se ne parla più», sostiene in aula al senato, ribadendo che «il tfr è e resta dei lavoratori». Peccato che siano proprio i «lavoratori», ultima conferma gli «operai di Mirafiori», a parlare del vulnus subito, tagliati fuori dal decidere sulle loro liquidazioni.
Questa discrasia patente riverbera su quel «domani» cui Padoa Schioppa si dedica, anticipando (ieri in un’intervista a Repubblica), quelle ‘lacrime e sangue’ che aveva già promesso nei mesi in cui il governo partorì il Documento di programmazione economica e finanziaria. Accrescendo addirittura, rispetto al Dpef, la stagione delle ‘lacrime’.
Le «priorità» sarebbero: «più concorrenza nei settori finora protetti», «più produttività nel pubblico impiego»; e la «riforma» delle pensioni; ma adesso vi si aggiunge anche l’«assestamento stabile del federalismo fiscale, e l’assunzione come obiettivo di governo della «riscrittura» dei contratti, di quel «patto del ’93 non più in chiave anti inflazionistica ma a sostegno della competitività».
E’ la traduzione decisa, la condivisione, della «fase due» del sogno liberista sponsorizzata da Fassino e Rutelli. Parrebbe una doccia gelata per gli stessi sindacati confederali – il primo a reagire è il dirigente Fiom Cremaschi, dalla Rete 28 aprile Cgil. Immediata anche la replica di Rifondazione: «Padoa Schioppa si ostina ad annunciare riforme che guardano sempre dallo stesso lato: i sacrifici di alcuni settori sociali e l’inseguimento di una astratta competitività» – sottolinea Gennaro Migliore. Anche se, nelle recriminazioni del Prc verso il tentavio del segretario della Quercia Fassino di stravolgere il cammino dell’Unione, sembra appannarsi la consapevolezza che non c’è in questo alcuna deviazione, bensì il conflitto tra le ‘anime’ diversissime che dall’origine vi albergano.