La tragedia che ha colpito l’Abruzzo ci racconta la realtà di un Paese in cui troppo spesso le regole vengono trasgredite con superficialità.
Tutto il territorio nazionale è interessato da eventi sismici in grado di determinare conseguenze rilevanti, tranne alcune zone delle Alpi centrali e della Pianura padana, un tratto della costa toscana e della Puglia, gran parte della Sardegna. Nonostante questo dato significativo, solo il 18% degli edifici risulta sismicamente protetto.
L’Abruzzo è la regione storicamente più colpita dai terremoti, basti pensare a quello del 1915, che causò circa 30 mila vittime. E il terremoto che si è abbattuto ferocemente sulla popolazione inerme la notte tra domenica e lunedì scorsi ha provocato un bilancio pesantissimo, che continua ad aggravarsi.
Proprio in queste settimane il governo sta elaborando il tanto discusso “piano casa”, che dimostra, di fronte alla drammaticità della vicenda abruzzese, quanto un provvedimento di quel tipo possa essere pericoloso. Il piano proposto dal governo, infatti, liberalizzando ogni interevento edilizio e sostenendo, di fatto, la logica della riduzione dei controlli tecnici e delle regole in merito alla materia edilizia, non fa altro che rendere meno sicure le abitazioni. La norma secondo la quale, infatti, basterebbe un’autocertificazione del progettista per poter aumentare le cubature degli edifici esistenti non offre nessun tipo di garanzia sugli interventi e rimuove dalla memoria le tragedie dovute al crollo di palazzi, che hanno causato morti e feriti, dovuti ad ampliamenti di edifici realizzati senza scrupolo e senza aver tenuto in conto i problemi relativi alla sicurezza.
Non sarebbe meglio pensare a prevenire queste tragedie attraverso un piano per la messa in sicurezza del territorio anziché proporre un provvedimento che non tutela l’ambiente, il paesaggio (e la salute) e punta solo ad incentivare speculazione e abusivismo edilizio?
Un terremoto come quello che c’è stato in Abruzzo, in luoghi come la California o il Giappone – dove tutti i nuovi edifici sono costruiti secondo criteri antisismici – non avrebbe causato nessuna vittima. A crollare, infatti, non sono state soltanto le vecchie case in pietra: il terremoto ha distrutto anche le case nuove, quelle che avrebbero dovuto essere costruite rispondendo alle normative antisismiche.
Sono crollati anche gli edifici pubblici, anch’essi sprovvisti di criteri antisismici, che spesso vengono localizzati su terreni più insicuri proprio perché meno “appetibili” dal punto di vista immobiliare. Secondo le ultime stime, in Italia ci sarebbero almeno 75-80 mila edifici pubblici da consolidare: 22 mila edifici scolastici sono in zone sismiche, 16 mila in zone ad alto rischio. Circa 9 mila non sono costruiti con criteri antisismici moderni. Tutti gli edifici costruiti negli anni ‘50-‘60, a causa del tipo di cemento usato, sono a rischio sismico.
E i presidi pubblici che dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini, come gli ospedali, le prefetture, sono anch’essi crollati o sono stati seriamente danneggiati.
Le calamità naturali sono fatti imprevedibili, ma sono facilmente immaginabili le conseguenze che possono recare: una prevenzione anti-sismica avrebbe sicuramente potuto ridurre al minimo le vittime e i danni.
Serve un piano sicurezza che renda il nostro Paese in grado di affrontare catastrofi naturali come questa. Un piano straordinario di recupero e riuso del patrimonio edilizio esistente che si ponga come obiettivo la messa in sicurezza degli edifici, soprattutto quelli di utilità pubblica, dalle scuole agli ospedali.
Si continua a parlare di grandi opere: il governo vuole investire sulla costruzione del famigerato ponte sullo Stretto, ennesimo scempio ambientale e sociale. Le risorse sottratte per la costruzione di opere faraoniche dovrebbero invece essere impiegate per la manutenzione e la messa in sicurezza delle strutture pubbliche esistenti. Questa dovrebbe essere la più grande opera pubblica del nostro Paese.