La Voce della Giustizia

Verso lo sciopero

Delle motivazioni tecnico-giuridiche dello sciopero proclamato dall’Associazione nazionale magistrati per il prossimo 14 luglio a lungo s’è parlato, e ancor più se ne parlerà nei prossimi giorni. Sulla rilevanza politica e ideale generale dell’avvenimento conviene invece secondo me aggiungere ancora qualcosa. E le considerazioni che io mi sentirei di fare, da una precisa prospettiva d’osservazione, sono due.
In Italia s’è combattuta, nel corso dell’ultimo governo Berlusconi, e ancor più in questi giorni si combatte, una dura battaglia per la difesa dello Stato di diritto. Non sempre la sinistra ha avuto le idee chiare su questo argomento. Basta risalire alla sciagurata stagione della Bicamerale per rendersene conto. Certo, è vero che il pratico funzionamento della giustizia in Italia non va bene. Ma questo non ha niente a che vedere con il principio della separazione dei poteri, di cui inequivocabilmente e senza tentennamenti si deve dire che è uno dei capisaldi della legalità repubblicana.

Nella doppia partita del dare e dell’avere, che gli storici un giorno ricostruiranno, risulterà evidente che, se tale principio non è stato sopraffatto dall’aggressione populistico-plebiscitaria, a cui le diverse componenti della Casa delle libertà, con gradazioni e accenti diversi, l’hanno tutto sottoposto, ciò è accaduto perché una delle dorsali istituzionali della democrazia italiana, e cioè la magistratura, non ha arretrato d’un passo. E ciò non soltanto nella difesa, per così dire, del principio in astratto; oppure nella tutela inflessibile di alcune prerogative giurisdizionali, tacciate di corporativismo. Ma, più in generale, nella preoccupazione, più volte praticamente manifestata, di garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, a partire dai potenti, anzi potentissimi, Berlusconi e Previti, per arrivare ai deboli, anzi debolissimi, islamici accusati a Milano, a quanto pare ingiustamente, di terrorismo.
Potrei dire che, in questo modo, è cambiato il rapporto tra il popolo di sinistra e la magistratura. È lecito chiedersi se ha ancora corso un vecchio luogo comune, ideologicamente prefigurato, come quello della «giustizia borghese», di cui la magistratura sarebbe la longa manus. Un discorso, concettuale e culturale, su questo tema sarebbe assai lungo, e non è detto che i tempi non siano maturi per questa impresa. Possiamo per ora limitarci a dire, senza enfatizzare inutili legalismi, che una visione dinamica e molteplice della democrazia prevede in questo momento storico un’alleanza (culturale e ideale, beninteso) con tutti quegli operatori del settore, che si pongono deontologicamente il compito imprescindibile di un’applicazione egualitaria della legge, il che vuol dire resistere a ogni intromissione del potere politico e delle lobbies economiche e, mi spiace aggiungerlo, religiose.
Arrivo con ciò al secondo punto, più politico. Non c’è bisogno neanche di condividere la prima parte di questo discorso per rendersi conto che nell’atteggiarsi in Parlamento sulle leggi di riforma della giustizia (e più in generale sui provvedimenti in favore di questo o di quello, leggi ad personam, eccetera) si va realizzando la fisionomia di un nuovo blocco politico-ideale, destinato a candidarsi a una diversa guida del Paese. Il transito dal presente degrado berlusconiano (dove un presidente del Consiglio può fare l’apologia palesemente immorale dell’economia sommersa) a un ordine più giusto o anche semplicemente più decente potrà farsi solo se avremo chiari in pieno, anche a sinistra, anche all’estrema sinistra, i termini della questione. C’è chi lavora, magari in modi diversi, per preservare e sviluppare le potenzialità contenute nel messaggio costituzionale repubblicano; e c’è chi lavora per distruggerle. Questa linea spartiacque non corrisponderà forse alle vecchie categorie. Ma di certo è quella su cui oggi le forze meno equivocamente tenderanno a separarsi e a contrapporsi. Spero che di fronte alla scelta pura e coraggiosa della magistratura italiana nessuna componente del centrosinistra si tiri indietro.