La vittoria cinese

In Europa avevano sentito parlare della Cina. Marco Polo, nell’autunno del 1298, raccontò cose meravigliose del singolare paese che chiamò Catay. Colombo, navigatore intelligente ed audace, era al corrente delle conoscenze che possedevano greci sulla rotondità della Terra. Le sue stesse osservazioni lo facevano coincidere con quelle teorie. Ideò il piano di arrivare nel Lontano Oriente navigando dall’Europa verso occidente. Calcolò con eccessivo entusiasmo la distanza, molto più grande. Senza immaginarlo, tra l’Oceano Atlantico ed il Pacifico, questo continente gli attraversò la sua rotta. Magellano effettuerà il viaggio da lui concepito, anche se morirà prima d’arrivare in Europa. Con il valore delle specie raccolte fu pagata la spedizione incominciata con molte imbarcazioni, di cui ritornò una sola, preambolo dei futuri colossali guadagni.

D’allora, il mondo ha iniziato a cambiare a passo accelerato. Vecchie forme di sfruttamento si sono ripetute, dalla schiavitù fino alla servitù feudale; antiche e nuove credenze religiose si sono estese nel pianeta.

Da quella fusione di culture e vicende, accompagnata dai progressi della tecnica e dalle scoperte della scienza, nacque il mondo attuale, che non si può capire senza un minimo d’antefatti.

Il commercio internazionale, con i suoi vantaggi ed i suoi inconvenienti, s’impose con le potenze coloniali, quali la Spagna, l’Inghilterra ed altre potenze europee. Queste, specialmente l’Inghilterra, iniziarono subito a dominare il sud-ovest, il sud ed il sud-est dell’Asia, oltre all’Indonesia, l’Australia e la Nuova Zelanda, estendendo dappertutto il loro dominio con la forza. Ai colonizzatori mancava solo di sottomettere il gigantesco paese cinese, di millenaria cultura e favolose risorse naturali ed umane.

Il commercio diretto tra l’Europa e la Cina iniziò nel XVI Secolo, dopo che i portoghesi stabilirono l’enclave commerciale di Goa in India e di Macao nel sud della Cina.

Il dominio spagnolo nelle Filippine facilitò lo scambio accelerato con il grande paese asiatico. La dinastia Qin, che governava la Cina, cercò di limitare il più possibile questa svantaggiosa operazione commerciale con l’estero. La permise solamente nel porto di Canton, l’attuale Guangzhou. Per quanto riguarda le merci inglesi prodotte nella metropoli o ai prodotti spagnoli provenienti dal Nuovo Mondo, non essenziali per la Cina, la Gran Bretagna e la Spagna soffrivano le grosse perdite dovute alla scarsa domanda dell’enorme paese asiatico. Entrambe avevano incominciato a vendergli oppio.

Il commercio dell’oppio su grande scala era inizialmente dominato dagli olandesi da Giacarta, in Indonesia. Gli inglesi notarono che i guadagni s’avvicinavano al 400 per cento. Le loro esportazioni d’oppio, che nel 1730 furono di 15 tonnellate, aumentarono a 75 nel 1773, imbarcate in casse di 70 chilogrammi l’una; con questo compravano porcellana, seta, spezie e tè cinese. L’oppio, e non l’oro, era la moneta dell’Europa per acquistare le merci cinesi.

Nella primavera del 1830, dinanzi allo sfrenato abuso del commercio dell’oppio in Cina, l’imperatore Daoguang ordinò a Lin Hse Tsu, funzionario imperiale, di combattere la piaga e questi ordinò la distruzione di 20 mila casse d’oppio. Lin Hse Tsu inviò una lettera alla Regina Vittoria chiedendole il rispetto delle norme internazionali e che non permettesse il commercio delle droghe tossiche.

La risposta inglese furono le Guerre dell’Oppio. La prima durò tre anni, dal 1839 al 1842. La seconda, a cui s’aggiunse la Francia, quattro anni, dal 1856 al 1860. Sono conosciute anche come le Guerre Anglo-cinesi.

Il Regno Unito obbligò la Cina a firmare trattati disuguali, con cui s’impegnava ad aprire al commercio estero diversi porti e a consegnare Hong Kong. Vari paesi, seguendo l’esempio inglese, imposero termini disuguali di scambio.

Una simile umiliazione contribuì alla ribellione Taiping, dal 1850 al 1864, alla ribellione dei Boxer, dal 1899 al 1901, ed infine alla caduta della dinastia Quin nel 1911, che, per varie cause – tra cui la debolezza di fronte alle potenze straniere – era diventata in Cina enormemente impopolare.

Cosa accadde con il Giappone?

Questo paese, d’antica cultura e molto laborioso, come altri nella regione, resisteva alla “civilizzazione occidentale” e per oltre 200 anni – tra l’altro per il caos nella sua amministrazione interna – si era mantenuto ermeticamente chiuso al commercio estero.

Nel 1854, dopo un precedente viaggio di ricognizione con quattro cannoniere, una forza navale degli Stati Uniti, al comando del Commodoro Matthew Perry, minacciando di bombardare la popolazione giapponese – indifesa di fronte alla moderna tecnologia di quelle navi -, obbligò gli shogun a firmare, a nome dell’imperatore, il Trattato di Kanagawa del 31 marzo 1854. Iniziò così in Giappone l’innesto con il commercio capitalista e la tecnologia occidentali. Gli europei non conoscevano allora la capacità dei giapponesi di destreggiarsi in quel campo.

Dopo gli yankee, arrivarono dall’Estremo Oriente i rappresentanti dell’impero russo, temendo che gli Stati Uniti, a cui in seguito, il 18 ottobre 1867, vendettero l’Alaska, li superassero nello scambio commerciale con il Giappone. La Gran Bretagna e le altre nazioni colonizzatrici europee arrivarono rapidamente in quel paese con gli stessi fini.

Durante l’intervento degli Stati Uniti del 1862, Perry occupò diverse zone del Messico. Il paese perse al termine del conflitto oltre il 50 per cento del proprio territorio, esattamente le aree dove erano accumulate le maggiori riserve di petrolio e di gas, sebbene allora l’oro ed il territorio dove espandersi, erano il principale obbiettivo dei conquistatori.

La prima guerra cino-giapponese fu ufficialmente dichiarata il 1º agosto 1894. Il Giappone desiderava allora impadronirsi della Corea, uno Stato tributario e subordinato alla Cina. Con armamento e tecniche più evolute, sconfisse la forze cinesi in diverse battaglie nei pressi delle città di Seul y Pyongyang. Le successive vittorie militari aprirono il cammino verso il territorio cinese.

Nel mese di novembre di quell’anno presero Port Arthur, l’attuale Lüshun. Alla foce del fiume Yalu e nella base navale di Weihaiwei, sorpresa da un attacco terrestre dalla penisola di Liaodong, l’artiglieria pesante giapponese distrusse la flotta del paese aggredito.

La dinastia dovette chiedere la pace. Il Trattato di Shimonoseki, che pose fine alla guerra, fu firmato nell’aprile del 1895. Obbligava la Cina a cedere “per sempre” al Giappone Taiwan, la penisola di Liaodong e l’arcipelago delle Isole dei Pescatori; inoltre, a pagare un risarcimento di guerra di 200 milioni di talleri d’argento ed aprire quattro porti esteri. La Russia, la Francia e la Germania, difendendo i loro interessi, obbligarono il Giappone a restituire la penisola di Liaodong, pagando in cambio altri 30 milioni di talleri d’argento.

Prima di menzionare la seconda guerra cino-giapponese, devo inserire un altro episodio bellico di duplice importanza storica che ebbe luogo tra il 1904 ed il 1905 e che non si può trascurare.

Dopo il suo inserimento nella civiltà armata e nelle guerre per la ripartizione del mondo imposta dall’Occidente, il Giappone, che aveva già intrapreso la prima guerra contro la Cina, precedentemente segnalata, sviluppò sufficientemente il suo potere navale d’assestare un così forte colpo all’impero russo, che fu sul punto di provocare prematuramente la rivoluzione programmata da Lenin, dando vita a Minsk, dieci anni prima, al Partito che successivamente scatenò la Rivoluzione d’Ottobre.

Il 10 agosto 1904, senza nessun preavviso, il Giappone attaccò e distrusse a Shandong la Flotta Russa del Pacifico. Lo zar Nicola II di Russia, esaltato dall’attacco, ordinò di mobilitare e far salpare, verso l’Estremo Oriente, la Flotta del Baltico. Convogli di carboniere furono contrattate per portare in tempo il carico necessario alla Flotta, mentre navigava verso la sua lontana destinazione. Una delle operazioni di trasferimento del carbone dovette essere realizzata in alto mare per pressioni diplomatiche.

I russi, entrando nel sud della Cina, si diressero al porto di Vladivostok, l’unico disponibile per le operazioni della Flotta. Per giungere in quel punto vi erano tre rotte: quella di Tsushima era la migliore; le altre due richiedevano di navigare ad est del Giappone ed aumentavano i rischi e l’enorme usura delle sue navi e dell’equipaggio. L’ammiraglio giapponese pensò lo stesso: preparò il suo piano per questa scelta e posizionò le sue navi in modo che la Flotta giapponese, facendo un’inversione ad “U”, con tutte le sue imbarcazioni, in maggioranza incrociatori, passasse ad una distanza approssimativa di 6 mila metri dalle navi avversarie, con numerose corazzate, che sarebbero state alla portata degli incrociatori giapponesi, dotati di personale rigorosamente addestrato all’impiego dei loro cannoni. A causa del lungo tragitto, le corazzate russe navigavano a soli 8 nodi contro i 16 delle navi giapponesi.

L’operazione militare è conosciuta con il nome di Battaglia di Tsushima. Ebbe luogo i giorni 27 e 28 maggio 1905.

Per l’impero russo parteciparono 11 corazzate ed 8 incrociatori.

Comandante della Flotta: Ammiraglio Zinovy Rozhdestvensky.

Perdite: 4.380 morti, 5.917 feriti, 21 navi affondate, 7 catturate e 6 rese inutilizzabili.

Il comandante della Flotta Russa fu ferito da un frammento di proiettile che lo colpì alla testa.

Per l’impero giapponese parteciparono: 4 corazzate e 27 incrociatori.

Comandante della Flotta: Ammiraglio Heichachiro Togo.

Perdite: 117 morti, 583 feriti e 3 torpediniere affondate.

La Flotta del Baltico fu distrutta. Napoleone l’avrebbe qualificata come un’Austerlitz del mare. Chiunque può immaginarsi quale profonda ferita causò questo drammatico fatto nel tradizionale orgoglio e patriottismo russi.

Dopo la battaglia, il Giappone diventò una temuta potenza navale, rivaleggiando con la Gran Bretagna e la Germania e competendo con gli Stati Uniti.

Il Giappone rivendicò il concetto della corazzata come arma principale degli anni futuri. Si dedicarono completamente al compito di potenziare l’Armata Imperiale giapponese. Richiesero e pagarono un cantiere navale inglese per la costruzione di un incrociatore speciale, con l’intenzione di riprodurlo successivamente nei cantieri giapponesi. In seguito fabbricarono corazzate che superavano le loro contemporanee per blindatura e potenza.

Non esisteva sulla Terra nessun altra nazione che eguagliasse nella progettazione di navi da guerra l’ingegneria navale giapponese degli anni Trenta.

Ciò spiega l’azione temeraria con cui un giorno attaccarono il loro maestro e rivale, gli Stati Uniti, che con il Commodoro Perry li iniziarono al cammino della guerra.

Proseguirò domani.

LA VITTORIA CINESE. (II Parte)

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, la Cina s’unisce agli alleati. Per compensarla, le offrono che le concessioni germaniche nella provincia di Shandong le saranno restituite al termine del conflitto. Dopo il Trattato di Versailles, imposto dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, sia agli amici che ai nemici, le colonie germaniche sono trasferite al Giappone, alleato più potente della Cina.

Fu la causa della protesta di migliaia di studenti, che il 4 maggio 1919 si riunirono in Piazza Tiananmen. Lì iniziò il primo movimento nazionalista che trionfò in Cina. Fu chiamato “4 Maggio”. La piccola borghesia e la borghesia nazionale vi aderirono insieme a operai e contadini.

La corrente nazionalista era sorta a cavallo tra il XIX ed XX secolo e si consolidò con la fondazione del Kuomintang, ossia il Partito Nazionale del Popolo, capeggiato dal dottor Sun Yat-sen, intellettuale e rivoluzionario progressista molto influenzato dalla Rivoluzione Socialista d’Ottobre, con cui rafforzò i contatti.

Il Partito Comunista Cinese viene fondato durante un congresso che ebbe luogo dal 23 luglio al 5 agosto 1921. Lenin inviò a quel congresso rappresentanti dell’Internazionale.

Il movimento comunista si dedicò a riunificate la Cina. Tra i fondatori si trovava il giovane Mao Zedong. Negli anni 1923 e 1924 si forma il Fronte Unico Antimperialista, formato dal PCC e dal Kuomintang.

Nel marzo del 1925 muore Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek prende il comando, impegnandosi a controllare sotto la sua rigida guida il sud della Cina, in particolare la zona di Shanghai.

Chiang non simpatizzava con la dottrina comunista e nel 1927 iniziò un processo repressivo su grande scala contro i comunisti nelle unità dell’Esercito Nazionale Rivoluzionario, nei sindacati ed in altre aree sociali del paese, specialmente a Shanghai. Represse duramente la sinistra anche all’interno del Kuomintang.

Dopo 5 mesi d’occupazione militare della Manciuria, il Giappone creò nel 1932 lo stato del Manchukuo, che costituiva per la Cina una grande minaccia. Chiang Kai-Shek sferrò cinque campagne d’accerchiamento e d’annientamento contro i comunisti, forti nelle basi costituitesi nel sud del paese.

Nel 1927, con coloro che riuscirono a scappare dal tradimento di Chiang Kai-shek, Mao Zedong diresse nell’area montagnosa delle province di Jiangsu e Fujian, un vasto territorio, il centro della resistenza armata con un forte nucleo di comunisti coerenti e ben organizzati, che fu chiamata Repubblica Sovietica Cinese.

Affrontando le forze nazionaliste di Chiang Kai-shek, molto superiori numericamente, circa 100 mila combattenti cinesi, sotto la direzione di Mao, iniziarono nel 1934 la Lunga Marcia verso il nordovest, costeggiando il centro, un percorso d’oltre 6 mila chilometri, lottando ininterrottamente durante il cammino per più di un anno, fatto che costituì un’impresa senza precedenti e trasformò Mao nell’indiscutibile leader del Partito e della Rivoluzione in Cina.

L’applicazione delle idee di Marx e Lenin alle vicende politiche, economiche, naturali, geografiche, sociali e culturali cinesi, lo consacrarono quale geniale stratega politico e militare nella liberazione di un paese il cui peso nel mondo attuale non può essere sottostimato.

La seconda guerra cino-giapponese inizia il 7 luglio 1937. I giapponesi provocarono deliberatamente l’incidente che scatenò il conflitto. Un soldato nipponico scompare mentre il suo esercito stava effettuando una parata militare sul ponte Marco Polo, sopra un fiume situato a circa 16 chilometri ad ovest di Pechino. Incolpano l’esercito cinese, posizionato sull’altro lato del fiume, d’aver sequestrato il soldato, provocando un combattimento di diverse ore. Questi ricompare quasi immediatamente. La denuncia era falsa, ma il comandante giapponese aveva già ordinato d’attaccare. Tokio esige condizioni inaccettabili per la Cina, presentate con l’abituale arroganza, ed ordina l’invio di tre divisioni equipaggiate con le loro armi migliori. In poche settimane l’Esercito giapponese controlla il corridoio est-ovest dal Golfo di Chihli – oggi Bo Hai – fino a Pechino.

Da Pechino si dirige fino a Nanchino, sede del governo di Chiang Kai-shek. Mettono in partica una delle più orrende campagne terroriste delle guerre moderne. La città, come altre, fu rasa al suolo; decina di migliaia di donne furono violentate e centinaia di migliaia di persone brutalmente assassinate.

Il Partito Comunista cinese aveva posto come obbiettivo prioritario la lotta per l’unità nazionale di fronte al piano giapponese, il cui obbiettivo era impadronirsi dell’enorme paese con le sue risorse naturali e sottomettere oltre 500 milioni di cinesi ad una spietata schiavitù. Il Giappone cercava spazio vitale. La sua condotta fu un miscuglio di capitalismo e razzismo: era la versione giapponese del fascismo.

Il Fronte Unito Antigiapponese era già presente nel 1937. Anche i nazionalisti erano a conoscenza del pericolo. Il Giappone occupò la maggioranza delle città costiere. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, le vittime cinesi saranno milioni.

Durante l’epico conflitto, i comunisti intensificarono la loro lotta contro gli invasori, provocandogli danni rilevanti.

Gli Stati Uniti aiutarono i comunisti ed i nazionalisti. Siccome vedevano che la loro entrata in guerra era imminente, chiesero al governo cinese l’autorizzazione per inviare una squadriglia di volontari. Fu così creata l’unità aerea delle Tigri Volanti. Roosevelt inviò il capitano a riposo Lee Chenault, il quale, durante il suo incarico, espresse la sua ammirazione per la disciplina, le tattiche e l’efficacia dei combattenti comunisti.

Dopo l’attacco a Pearl Harbor del dicembre del 1941, gli Stati Uniti entrarono in guerra. Tuttavia il Giappone non poté mai spostare dalla Cina le sue truppe d’elite, che al termine del conflitto ammontavano ad un milione di soldati.

Chiang Kai-shek, trasformato dall’amministrazione Truman – che con un atto di terrore usò le armi nucleari sulla popolazione civile giapponese – nell’uomo forte degli Stati Uniti, riprende la guerra civile anticomunista, ma le sue demotivate truppe non potevano resistere all’onda incontenibile dell’Esercito Popolare Cinese.

Quando si concluse la guerra, nell’ottobre del 1949, quelli del Kuomintang, appoggiati dagli Stati Uniti, scapparono a Taiwan, dove crearono un governo anticomunista con il pieno appoggio yankee. Chiang Kai-shek utilizzò la Flotta degli Stati Uniti per recarsi a Taiwan.

È per caso la Cina un oscuro angolo del mondo?

Prima che s’edificasse Troia e circolassero per le città-stato della Grecia l’Iliade e l’Odissea, senza dubbio meravigliosi creazioni dell’intelligenza umana, sui vasti fianchi del Fiume Giallo si sviluppa già una civiltà che comprendeva milioni di persone.

La cultura cinese fonda le sue radici nella dinastia Zhou, 2000 anni prima di Cristo. La sua peculiare scrittura si basa su migliaia di segni grafici, che rappresentano generalmente parole o morfemi della lingua, termine della linguistica moderna poco conosciuto dal pubblico non familiarizzato con il tema. Siamo tutti lontani dal comprendere la misteriosa magia di quella lingua, il cui apprendimento sviluppa la naturale intelligenza dei bambini cinesi.

Molti prodotti nati in Cina, come la polvere da sparo, la bussola ed altri, erano completamente sconosciuti nel Vecchio Continente. Se i venti soffiassero nel senso inverso della rotta seguita da Colombo, forse i cinesi avrebbero scoperto l’Europa.

Dal 2000, ha governato a Taiwan un partito la cui politica neoliberale e pro-imperialista era ancora peggiore di quella tradizionale del Kuomintang, deciso sostenitore del fallimento del principio di una sola Cina, storicamente proclamato dal Partito Comunista Cinese. Questa spinosa questione poteva scatenare una guerra d’imprevedibili conseguenze, come una moderna spada di Damocle sulla testa di oltre 1 miliardo e 300 milioni di cinesi.

L’elezione del 23 marzo scorso del candidato dell’antico partito che fu la base politica di Chiang Kai-shek ha costituito senza dubbio, nei fatti, una vittoria politica e morale della Cina. Allontana dal potere a Taiwan un partito che, governando per quasi otto anni, era sul punto d’intraprendere nuovi e funesti passi.

Secondo le agenzie di stampa, la sconfitta è stata schiacciante, ottenendo solo 4,4 milioni di voti su 17,3 milioni d’aventi diritto.

Il nuovo Presidente entrerà in carica il 20 maggio. “Firmeremo un Trattato di Pace con la Cina”, ha dichiarato.

Le note d’agenzia informano che “Ma Ying-jeou è sostenitore della creazione di un Mercato Comune con la Cina, principale partner commerciale dell’isola.”

La Repubblica Popolare cinese si dimostra degna e cauta nei riguardi della spinosa questione. Il portavoce dell’Ufficio di Taiwan nel Consiglio di Stato di Pechino ha dichiarato che la vittoria di Ma Ying-jeou prova che “l’indipendenza non è popolare tra i taiwanesi ”

In questo laconico messaggio si dice molto.

Nell’opere composte da prestigiosi ricercatori statunitensi, è stato divulgato quanto accaduto nel territorio cinese del Tibet.

Nel libro La guerra segreta della CIA in Tibet, di Kenneth Conboy – University Press, Kansas – si descrivono i sporchi intrighi della cospirazione. William Leary lo definisce “un eccellente ed impressionante studio su una delle più importanti operazioni segrete delle CIA durante la guerra fredda.”

Nel corso di due secoli, nessun paese al mondo aveva riconosciuto il Tibet come una nazione indipendente. Gli Stati Uniti, fino alla Seconda Guerra Mondiale, lo consideravano parte della Cina ed in tal senso facevano addirittura pressione sull’Inghilterra. Dopo la guerra, in cambio, lo videro come baluardo religioso contro il comunismo.

Quando la Repubblica Popolare Cinese istituì la riforma agraria nei territori tibetani, la sua elite sociale non accettò che le sue proprietà ed i suoi interessi fossero colpiti. Ciò provocò nel 1959 una sollevazione armata. Secondo le ricerche precedentemente indicate, la ribellione armata in Tibet – a differenza del Guatemala, Cuba ed altri paesi, dove agirono in fretta – fu preparata dai servizi segreti degli Stati Uniti per anni.

In un altro libro – in questo caso un’apologia della CIA – I guerrieri di Budda, l’autore Mikel Dunshun racconta come l’agenzia trasferì centinaia di tibetani negli Stati Uniti, condusse la ribellione, la equipaggiò, inviò paracaduti con armamenti, lì addestrò nell’utilizzo degli stessi, a montare a cavallo come i guerriglieri arabi. Il prologo dell’opera è scritto dal Dalai Lama, che afferma: “Sebbene abbia il profondo sentimento che la lotta dei tibetani possa solamente trionfare con una visione a lungo termine utilizzando mezzi pacifici, ho sempre ammirato questi combattenti per la libertà per il loro valore e per la loro indistruttibile determinazione.”

Il Dalai Lama, decorato con la Medaglia d’Oro del Congresso degli Stati Uniti, ha elogiato George W. Bush per gli sforzi a favore della libertà, la democrazia ed i diritti umani.

La guerra in Afghanistan è stata definita dal Dalai Lama come “una liberazione”, la guerra di Corea come “semiliberazione” e quella del Vietnam come un “fallimento”.

Ho fatto una breve sintesi dei dati presi da Internet, soprattutto dal sito Rebelión. Non ho inserito, per ragioni di spazio e di tempo, le pagine di ogni libro dove appaiono con precisione le parole testuali utilizzate.

Ci sono persone che soffrono di cino-fobia, un costume abbastanza generalizzato in molti occidentali, abituati, da educazione e cultura differenti, a guardare con disprezzo ciò che proviene dalla Cina.

Ero praticamente bambino quando già si parlava del “pericolo giallo”. La rivoluzione cinese sembrava allora una cosa impossibile: le vere cause dello spirito anticinese erano nel fondo razziste.

Perché tanta ostinazione nell’imperialismo nel sottomettere la Cina, in modo diretto o indiretto, a un deterioramento in campo internazionale?

Un tempo, ovvero, 50 anni fa, negandole le prerogative eroicamente guadagnate di membro effettivo del Consiglio di Sicurezza; successivamente, per gli errori che condussero alle proteste di Tiananmen, dove si osannava la Statua della Libertà, simbolo di un impero che oggi è la negazione di tutte le libertà.

La legislazione della Repubblica Popolare Cinese si è impegnata nel proclamare ed applicare il rispetto dei diritti e della cultura di 55 minoranze etniche.

La Repubblica Popolare Cinese, al contempo, è molto sensibile a tutto ciò che riguarda l’integrità del suo territorio.

La campagna orchestrata contro la Cina è come un segnale d’attacco per screditare il meritato successo del paese e del suo popolo, anfitrioni dei prossimi Giochi Olimpici.

Il Governo di Cuba ha emesso una categorica dichiarazione di sostegno alla Cina, rispetto alla campagna contro la stessa inerente il Tibet. Questa è stata una posizione corretta. La Cina rispetta il diritto dei cittadini a credere o non credere. Esistono, in quel paese, gruppi di credenti mussulmani, cristiani cattolici o non cattolici, e di altre religioni, e decine di minoranze etniche i cui diritti sono garantiti dalla sua Costituzione.

Nel nostro Partito Comunista, la religione non è un ostacolo per esserne militante.

Rispetto il diritto del Dalai-Lama a credere, però non sono obbligato a credere nel Dalai-Lama.

Ho molte ragioni per credere nella vittoria cinese.