La via difficile alla sicurezza sul lavoro

Parliamo ancora di sicurezza sul lavoro. Cronache e statistiche confermano che in Italia si muore, ci si infortuna e ci si ammala sul lavoro a ritmi incomparabili con il resto dell’Europa. Quando si verifica un incidente più grave del solito, l’indifferenza cede il passo alla commozione. Si confida allora in una generale presa di coscienza. Poi si ricade puntualmente nella routine. Segno che senza una precisa assunzione di responsabilità da parte della politica non se ne uscirà. E che continueremo a piangere i morti con lacrime sempre meno rispettabili.
Del resto la sicurezza del lavoro (la lotta alla precarietà) e sul lavoro (il varo di una migliore normativa prevenzionistica) è uno dei principali impegni assunti dall’Unione in campagna elettorale. Ciò lascia supporre che il governo punti molto sul ddl-delega in base al quale dovrà elaborare il Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Di recente il provvedimento è stato varato dal consiglio dei ministri e presto dovrebbe andare all’esame del parlamento. È dunque tempo di discuterne analiticamente coinvolgendo l’opinione pubblica.
Come valutare il ddl proposto dal governo? Cominciamo col dire che c’è un problema relativo al percorso prescelto. Dapprincipio si è mimato un metodo partecipativo, sollecitando il contributo delle forze di maggioranza. Poi si è proceduto risolutamente, ignorando proposte e deludendo aspettative. Si è battuta la via del decisionismo, che conferma una patologia del sistema politico manifestatasi in modo eclatante nel corso della passata legislatura. Mutuando logiche proprie delle istituzioni comunitarie, gli esecutivi tendono a monopolizzare l’iniziativa legislativa vulnerando le prerogative del parlamento e realizzando un’evoluzione sistemica di stampo tecnocratico e oligarchico. Sarebbe bene che la sinistra tutta prendesse coscienza di tale deriva, destinata a mettere seriamente a rischio la sua capacità di incidere nel processo di formazione delle decisioni.
Quanto al merito del ddl, non siamo messi meglio. Non è possibile affrontare qui tutte le lacune del testo, che riguardano tra l’altro i rischi di disomogeneità territoriale della normativa (con conseguenti pericoli di concorrenza al ribasso tra regioni e imprese sugli standard di sicurezza); la carenza degli strumenti processuali di tutela dei lavoratori (per es. attraverso la costituzione di parte civile delle rappresentanze nei procedimenti penali in materia di sicurezza e igiene); l’assenza di principi e criteri riguardanti i diritti di chi lavora (a cominciare dal diritto di astenersi dalla prestazione in caso di violazione della normativa prevenzionistica). Limitiamoci a due aspetti essenziali sui quali sarà indispensabile apportare significative modifiche al testo del governo.
In primo luogo gli appalti, materia nevralgica, considerato che la maggior parte degli incidenti colpisce lavoratori in forza a imprese appaltatrici. Il ddl è gravemente carente per ciò che attiene agli obblighi del committente nella misura in cui si limita a rinviare genericamente a un principio di potenziamento del regime di responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore. Una prevenzione efficace richiederebbe ben altre misure, a cominciare dall’obbligo, per il committente, di allegare al contratto di appalto, pena la sua invalidazione, un piano vincolante di sicurezza che tenga conto dell’impiego comune degli impianti e definisca le procedure collettive per le emergenze.
La seconda questione concerne gli rls, figure-chiave le cui funzioni il programma dell’Unione dichiara di voler rafforzare ma che il testo del governo degna di poca attenzione. Il ddl non prevede misure atte a rafforzarne il ruolo: né l’elezione diretta da parte dei lavoratori né la facoltà di redigere un proprio documento di analisi dei rischi. Non ne sancisce il diritto di ottenere dall’impresa tutte le informazioni necessarie all’esercizio delle proprie funzioni, né stabilisce che l’rls possa avvalersi della collaborazione di tecnici esterni. Ancor meno dispone – come sarebbe invece necessario – che l’rls svolga il proprio ruolo secondo prescrizioni minime di legge, anche laddove la contrattazione collettiva non ne abbia definito adeguatamente le modalità di esercizio.
Si tratta, com’è evidente, di questioni complesse che mettono alla prova la volontà politica di garantire ai lavoratori il diritto, costituzionalmente protetto, alla salute e alla sicurezza. Ora la parola passa al parlamento. Su tutte le forze della maggioranza incombe il dovere di confermare la validità degli impegni programmatici su questa materia, nonostante il lavoro non figuri nei dodici punti di Prodi. E l’onere di dimostrare che le travagliate vicende del governo non hanno appannato i propositi autenticamente riformatori dell’Unione.