La Ue vuole le Poste private

Vista dalla Francia, paese che ha votato «no» alla Costituzione anche (ma non solo) per rifiutare la deriva neo-liberista dell’Unione europea, la proposta di direttiva sulla liberalizzazione totale dei servizi postali entro il 2009, ha fatto ieri l’effetto di una bomba. I sindacati sono sul piede di guerra e già annunciano una settimana di azione contro gli «ukase di Bruxelles» a partire dal 13 novembre. Temono che tra i 30 mila e i 100 mila posti di lavoro alla Poste potrebbero sparire. La Poste è la prima impresa francese, con 300 mila dipendenti. E’ un servizio pubblico che funziona – il postino passa sei giorni su sette (due volte al giorno a Parigi, anche se ultimamente ci sono stati tagli a questa doppia tournée) e l’82% delle lettere sono consegnate il giorno dopo essere state imbucate.
Il presidente delle poste francesi, Jean-Paul Bailly assicura che la società saprà reagire e che ha la possibilità di diventare «il numero uno della posta in Europa». Ma, assieme alle poste italiane, belghe, cipriote, greche, ungheresi, lussemburghesi, polacche, spagnole e maltesi, i francesi hanno avviato il 10 ottobre una battaglia per cercare di limitare le «aperture» volute dal commissario al mercato interno, Charlie McCreevy. Invece, la privatizzazione della posta è difesa dalla Germania, che ha addirittura l’intenzione di farne una delle priorità della sua prossima presidenza del Consiglio (primo semestre 2007), visto che negli ultimi tempi la Deutsche Post si è costruita una posizione di forza nella Ue moltiplicando le acquisizioni. A favore della privatizzazione ci sono anche Gran Bretagna, Olanda, Finlandia e Svezia.
McCreevy vuole passare all’ultimo atto della liberalizzazione postale nel 2009, aprendo alla concorrenza l’ultima tranche di «servizio pubblico», quella che riguarda le lettere sotto i 50 grammi (circa la metà della posta che gira in Europa). La corsa verso la liberalizzazione totale delle poste Ue è iniziata dieci anni fa, con l’apertura alla concorrenza dell’invio di pacchi di più di 350 grammi, poi si è accelerata nel 2003 per i plichi di più di 100 grammi e nel 2006 per quelli di più di 50. Ogni anno, in Europa ci sono 135 miliardi di invii postali, per un fatturato di 88 miliardi di euro (equivalente all’1% del pil della Ue). Mezzo milione di persone sono impiegate alla posta nei 25 paesi, con percentuali diverse da paese a paese (2.241 persone per ogni punto postale in Svezia, 12.762 in Spagna, 3.670 per la Francia e 4.171 persone per l’Italia). Il mercato fa gola e la liberalizzazione sembra irreversibile. Ma come garantire il servizio pubblico universale? Nei paesi dove il monopolio postale anche per le lettere è saltato, come in Svezia, il prezzo del francobollo è salito. Come garantire la consegna regolare delle lettere (ma Bruxelles si accontenta di 5 giorni su 7), un prezzo eguale nelle metropoli e nelle campagne più isolate? McCreevy diventa bizantino: propone un «fondo di compensazione» nazionale, alimentato da tutti gli operatori che intendono entrare nel mercato, oppure, a scelta, di versare delle sovvenzioni agli operatori che accetteranno di ottemperare alle esigenze del «servizio pubblico», il tutto per poter consegnare le lettere a un prezzo unico ed abbordabile su tutti i territori nazionali, cosa che fino ad oggi fanno benissimo le poste pubbliche (anche le italiane sembrano un po’ migliorate). Oggi questo servizio è finanziato grazie alla situazione di monopolio.
Il prezzo unico del francobollo, del resto, per Bruxelles sarà mantenuto solo «a determinate condizioni» : è facile prevedere che nei villaggi isolati, dove spesso l’ufficio postale è l’ultimo servizio pubblico rimasto in vita, mandare una cartolina costerà più caro che nella capitale. La posta francese a Bruxelles permette un sistema pay or play: i nuovi entranti sul mercato o si comportano come la posta pubblica, oppure saranno obbligati a finanziare il servizio pubblico per evitare l’obbligo di garantire equità e presenza su tutto il territorio.