Brasile, Argentina e Paraguay hanno annunciato la creazione di un Centro regionale di intelligence sulla triplice frontiera, quella che dividono alla congiunzione dei fiumi Iguazú e Paraná, nel tentativo di mettere sotto controllo i traffici di ogni tipo che vi fioriscono e di frenare la crescente presenza Usa nella regione.
La Triple frontera è collocata in una zona strategica del Cono sud. Tre città sono una attaccata all’altra: Ciudad del Este in Paraguay, Puerto Iguazú in Argentina, Foz de Iguaçu in Brasile. Il ponte Tancredo Neves divide la città brasiliana da quella argentina, il ponte della libertà quella brasiliana da quella paraguayana. Dato che le città sono il luogo delle famose cascate il traffico è molto intenso e la popolazione in continua crescita. Puerto Iguazú è la più piccola con 30 mila abitanti, Foz de Iguaçu ne ha quasi 200 mila e Ciudad del Este, con i suoi 250 mila, è diventata la seconda città del Paraguay.
Ma non è solo per via del turismo che le tre città crescono. Il passaggio di ogni tipo di mercanzie è incessante e i «paseros», con i loro enormi carichi montati sulle spalle intasano i ponti di transito. Specialmente il Paraguay, un paese che basa la sua economia quasi esclusivamente sul contrabbando, è visto come una specie di mecca. Le frontiere, e i controlli, sono in pratica insesistenti e qualsiasi problema si risolve facilmente con qualche manciata di dollari.
La triplice frontiera è sempre stata il paradiso delle auto rubate, delle merci griffate o taroccate, delle armi e della droga, del rilavaggio di denaro sporco e di tutte le possibili varianti della criminalità piccola e grande.
La novità è che adesso oltre che di contrabbando si parla di terrorismo. Il punto di svolta, anche nella triplice frontiera, è l’11 settembre del 2001. Dopo l’attentato alle torri gemelle e la guerra mondiale «al terrorismo» lanciata da Bush, qualcuno si è ricordato che la maggior parte dell’immigrazione in quelle tre città è di origine araba. Si calcola che siano almeno 50 mila gli arabi che abitano nell’area. E dal 2002 in poi Washington ha più volte ammonito che sulla triplice frontiera ci sono «chiari esempi» di gruppi islamici che «finanziano attività terroriste». La Cia e il Mossad israeliano hanno identificato gruppi che vanno dall’ al-Gamaa al-Islamiyya egiziana alla Jihad islamica, dagli hezbollah libanesi fino a, non poteva mancare, al-Qaeda. Inutili sono stati i tentativi di Brasilia, Buenos Aires e Asuncion di dire che a loro non risulta la presenza di branche del terrorismo islamico in quel posto. La pressione degli americani si è fatta sempre più insistente. Specialmente con il Paraguay, l’anello più debole della catena e, storicamente, succobe degli Usa fin dai tempi del regime di Stroessner (Ciudad del Este è nata come Ciudad Stroessner e ha cambiato nome solo dopo che il dittatore morto di recente fu rovesciato nell’89).
Nel maggio del 2005 il Congresso paraguayano ha approvato alla chetichella una legge che garantisce l’immunità ai soldati Usa e la loro libertà d’azione nel paese. Una base militare enorme è stata costruita nel desolato Chaco paraguayano, a Marsical Estigarribia, dove è stata costruita una pista per l’atterraggio dei grandi aerei da trasporto lunga 3800 metri. I militari Usa sono già più di 400.
La base è collocata in una zona strategica, non solo perché tiene a tiro la Bolivia di Evo Morales ricca di idrocarburi, ma perché l’intera area è «strategica». Domina ad esempio «el Acuífero Guaraní», una delle riserve d’acqua dolce più ricche del pianeta con l’Amazzonia (non a caso anch’essa nel mirino americano).
Il disegno Usa è evidente. Con il pretesto della «guerra al terrorismo», che ha già uno dei suoi fronti avanzati nel Plan Colombia del presidente Uribe, Washington cerca di rimilitarizzare la regione. Non è un caso che il segretario alla difesa Rumsfeld si sia scomodato ad andare fino ad Asuncion nel 2005 e che Nicanor Duarte sia stato il primo presidente paraguyano ricevuto alla Casa bianca da Bush. Che ha anche proposto all’Osa, l’Organizzazione degli stati americani, la creazione di una «forza militarizzata» per controllare la Triple Frontera.