L’assemblea del 15 si avvicina, l’interesse e le aspettative crescono. E’ la dimostrazione che l’iniziativa promossa da il manifesto coglie un’esigenza reale, diffusa ben al di là degli stati maggiori della politica, e anche della cerchia rispettabile ma ristretta degli iscritti ai partiti, o delle diverse correnti di essi. C’è davvero bisogno, in questa fase, di una iniziativa a sinistra che si metta in sintonia con gli strati profondi della società.
Di grande ha solo la G
La rissosità permanente e le lacerazioni in cui si dibattono i gruppi dirigenti della Gad (che di grande per ora ha solo la G dell’acronimo) testimoniano che la costruzione di uno schieramento ampio, capace di battere il centro-destra, non può essere affidato alla deriva moderata di forze neocentriste comunque denominate: c’è confusione al centro del centrosinistra ma la sinistra stenta a ricollocarsi e ridefinirsi. E non è vero che basti rattoppare comunque un’alleanza per battere Berlusconi. Senza una sinistra forte, che faccia asse sul mondo del lavoro, e dunque capace di recuperare consensi e fiducia battendo il disincanto, non si va lontano e ben difficilmente si potranno vincere le elezioni.
Perciò l’esigenza è duplice. Da un lato, lavorare per il massimo di unità possibile. Dall’altro, come è stato detto, promuovere «il ripensamento, che appare sempre più necessario, delle idee, dei programmi, degli orizzonti culturali e ideali di una sinistra che sia all’altezza degli interrogativi di una nuova epoca». Se l’assemblea del 15 farà anche un solo passo avanti in questa direzione, a mio parere sarà un successo.
Tuttavia, perché ciò si verifichi sono necessarie alcune condizioni, forse date per scontate, ma sulle quali vorrei attirare l’attenzione e proporre qualche considerazione di merito. Le idee, come si sa, normalmente non fanno strada se non sono sorrette da una strumentazione pratica che ne favorisca l’approfondimento, il dibattito, la diffusione. La teoria senza la prassi, come ci ricorda quel tale di Treviri e come ben sanno i neoconservatori in America, non trasforma il mondo, e se la pratica senza teoria è cieca, a sua volta la prassi è indispensabile per verificare e arricchire la teoria.
Dunque, per realizzare un’assemblea il più possibile libera e aperta, è indispensabile innanzitutto che questa sia messa in grado di confrontarsi con i nodi veramente cruciali per la sinistra e per la società italiana. Se ci si propone di dar vita, come ha precisato Alberto Asor Rosa, a una «Camera di consultazione permanente» che coinvolga forze politiche, forze sociali (sindacati, associazioni) e movimenti, la selezione dei temi è indubbiamente il primo passo da compiere. Scartata l’idea di un programma particolareggiato, la scelta giusta è quella di concentrarsi sui fondamenti, ossia su alcune idee-forza essenziali, a mio parere indicate con chiarezza da Rossana Rossanda nell’articolo del 9 novembre 2004, intitolato Tre nodi, cui faccio riferimento.
Primo. La pace, ovvero un diverso assetto del mondo. Ciò implica un’analisi del capitalismo americano, fondato sul privatismo assoluto, eccezion fatta per il complesso militare sostenuto da un livello senza precedenti di spesa pubblica. Dopo il crollo dell’Urss, cioè dell’unica potenza capace di distruggere in una guerra gli Usa, la spesa militare americana, invece di diminuire, ha subìto un incremento iperbolico, e si sono moltiplicati i conflitti nel mondo. Ciò significa che il capitalismo liberista del nuovo secolo, sciolto dai vincoli costruiti nel Novecento e denominato benignamente globalizzazione, acuisce tutte le contraddizioni planetarie e produce effetti catastrofici non solo ambientali. Per frenarlo non bastano le regole e i contrappesi geopolitici, occorrono una ridisclocazione e riorganizzazione delle forze sociali sul terreno politico, che ne imbriglino le tendenze distruttive. Tema quanto mai attuale in Europa.
Secondo. I diritti del lavoro, ovvero la ridefinizione del conflitto capitale-lavoro, e la lotta per la valorizzazione del lavoro nell’epoca nostra, caratterizzata da una rivoluzione scientifico-tecnica di portata storica. Al centro dell’attenzione della sinistra non può stare il «capitale umano», componente comprimibile all’infinito dei costi aziendali, bensì il lavoratore, la persona umana con i suoi bisogni materiali e spirituali, che nel corso di oltre un secolo si sono trasformati in diritti al prezzo di dure lotte. Se non si parte dai diritti del lavoro – che sono l’esatto opposto del lavoro come merce – non è pensabile una nuova qualità dello sviluppo e non si arresta il declino del paese, né si può costruire un nuovo rapporto uomo-natura.
Terzo. La riforma della politica, ovvero il rovesciamento della tendenza alla sua privatizzazione, che chiude gli spazi pubblici e frantuma l’agire collettivo. In queste condizioni, la politica torna a essere un privilegio delle élites fondato sul censo e la capacità di controllo dell’opinione; il lavoratore – e anche il cittadino – decade a oggetto passivo del messaggio mediatico; il partito politico, da libera associazione in cui si esprime la partecipazione dei singoli a un processo di trasformazione, viene convertito in apparato burocratico al servizio del leader.
L’espropriazione dell’autonomia
«La burocrazia – annota Gramsci – è la forza consuetudinaria e conservatrice più pericolosa; se essa finisce per costituire un corpo solidale, che sta a sé e si sente indipendente dalla massa, il partito finisce per diventare anacronistico, e nei momenti di crisi acuta viene svuotato del suo contenuto sociale e rimane come campato in aria». Quando questo fenomeno si verifica, i lavoratori dipendenti e i ceti subalterni vengono di fatto espropriati di un’autonoma e libera rappresentanza politica in cui riconoscersi: è accaduto in Urss, accade per ragioni opposte negli Usa, e accade oggi in Italia. Senza partiti non c’è democrazia, ma proprio perciò ho l’impressione che se non si affronta questo nodo decisivo, il discorso sulla democrazia partecipata rischia di restare una pura petizione di principio, che non morde nella realtà.
In conclusione, una volta scelta la tematizzazione, intorno a essa sarebbe opportuno costituire l’Assemblea, che come punto d’inizio di un lavoro che continua dovrebbe avere una conclusione aperta. Un’ipotesi potrebbe essere la stesura di un documento breve, che contenga il «temario» da approfondire, i criteri e la composizione della «Camera di consultazione», e anche un appello perché nei territori si sperimentino iniziative diverse. C’è bisogno di cose nuove, servono non solo dibattiti ma anche vertenze concrete che coinvolgano la società: come ha osservato Gabriele Polo, la sinistra si definisce non solo per ciò che pensa ma anche su ciò che fa.