«La Tav? E’ tutto inventato. Non c’è traccia del “Corridoio 5” nei documenti di Bruxelles»

Professor Tamburrino, lei sembra darci delle notizie strepitose: che il corridoio 5 non esiste nelle planimetrie europee e che la Torino-Lione serve solo a collegare l’Italia alla Tgv francese, cioé ad un sistema che trasporta persone e non merci.
Non ho trovato alcuna fonte sul corridoio 5. Esiste l’asse 6, cioè un tentativo di collegare l’Italia all’alta velocità francese. Inoltre Berlusconi sostiene che nel semestre di presidenza italiana a Bruxelles è riuscito a far spostare a Sud dell’Italia l’asse di comunicazione fra Europa dell’Est e dell’Ovest. Non è vero: l’asse è ancora lì, si chiama asse 2.

Cos’è allora la Tav?

L’Italia la chiama con un ibrido: alta velocità/alta capacità. Nel piano europeo, che si compone di 30 progetti, sono previsti assi ad alta velocità (per passeggeri), e assi misti merci-passeggeri, come la Lione-Budapest, quella che dovrebbe passare per la Val di Susa.

Sostiene anche che l’Italia salta nel carro della Tav non per convinzione scientifica ma attratta dall’immensa torta degli appalti pubblici senza gara.

Sì. Il sistema nasce nel 1991 con un progetto che comprende le trasversali Torino-Venezia e Milano-Napoli, e attrae il primo grande progetto speciale che assegna in un primo colpo – e a trattativa privata, cioè senza gara – la realizzazione un sistema che allora valeva 15mila miliardi di lire e oggi 60 miliardi di euro.

Nel suo articolo lei incrocia dati Eurostat sul Pil dei Paesi europei e la quantità di merci trasportate e scopre che il trasporto non serve più allo sviluppo. Cosa vuole dire?

Dico che non ci serve aumentare il trasporto. Faccio un esempio: in un Italia che non fa più bambini non ha senso costruire nuove scuole.

Stiamo dunque basando l’economia su dati vecchi?

Esatto. La nostra è una transizione verso un’economia immateriale: Google fa un fatturato che è 10 volte la Fiat, e non ha bisogno di trasporti. Guardiamo invece la Germania: grazie al principio del “Dual System” introdotto nel 1991 dal ministro dell’Ambiente, ogni azienda deve farsi carico dello smaltimento dei rifiuti che produce. Il risultato: è diminuito il volume dei trasporti ed è aumentato il riutilizzo in loco delle materie prime riciclate.

Perché nel suo articolo ad un certo punto ricorda che in Italia è aumentata la superficie boschiva e che sono tornate alcune specie da tempo scomparse come i gabbiani reali?

Sono dati che mi ha fornito il ministero delle Politiche agricole e che parlano di una rinaturazione del territorio. Con i suoi straordinari valori ambientali, culturali e storici, l’Italia dovrebbe concentrarsi sulla sua vocazione naturale, senza rincorrere le altre economie. Piuttosto di fare autostrade e a far girare l’economia in maniera poco produttiva, investiamo in risorse alternative come il bioetanolo.

Sta dicendo che se la Tav non si farà, l’Italia non perderà il treno del progresso?

Credo di no. Non possiamo aspettare la ferrovia Torino-Parigi perché intanto le cose saranno cambiate, né credo ci saranno masse di viaggiatori tra Lisbona e Kiev. Berlusconi ha spinto sulle grandi opere perché sono congeniali ad una oligarchia di potere politico e imprenditoriale, che elimina completamente la partecipazione dei cittadini dalle decisioni.

Il Foglio di Giuliano Ferrara, citando lei e gli altri articolisti della rivista di Bologna, dice che la «intellighenzia prodiana» smentisce Prodi. Il quale afferma infatti che «La Tav si farà, punto e basta».

Non ho sicuramente l’ambizione di assumere una posizione politica, il mio ragionamento è tecnico. Io capisco che Prodi debba mediare, senza dimenticare che c’era lui a capo della Commissione Europea quando fu approvata la Tav.

Lei dice che in Val di Susa «Davide ha immobilizzato Golia», e reputa questa sproporzione una stranezza.

Volevo mettere in evidenza l’arretratezza dell’Italia nel campo della democrazia partecipativa. Questo è il nostro difetto maggiore. Ci scontriamo con una cultura politica elitaria che rifiuta il confronto con la gente, quindi necessariamente vengono rappresentati interessi limitati. Nella democrazia partecipativa c’è spazio per la creatività di ognuno, e da noi ce n’è poca. Trovo interessante la posizione dei valsusini perché desiderano discutere della Tav.

Da anni chiedono il dialogo con le istituzioni
Appunto, e nessuno gli ha mai dato ascolto. Ecco perché nasce la sindrome “not in my backyard”, tipica nelle democrazie meno mature, dove la spinta democratica dal basso non incontra uguale spinta democratica dall’alto.