La svolta islamista del nuovo Afghanistan

La prima grande opera sorge proprio lì, alle spalle del municipio della capitale. L’altra, ancora più mastodontica, si erge, tra ponteggi e calcestruzzi, a pochi metri dal parlamento afghano. Sono la prova tangibile della solidarietà internazionale, visto che i soldi vengono da fuori. Ma anche il simbolo di una cooperazione molto speciale. Quella religiosa.
La grande moschea che arma strutture di cemento armato dietro alla residenza di Rohullah Aman, da pochi mesi neosindaco di Kabul, si deve a finanziamenti dell’Arabia saudita, un paese che ha una lunga storia di quattrini spesi in Afghanistan. Ma se prima, a partire dagli anni ’80, sborsò un fiume di dollari per sostenere la resistenza islamista all’invasione sovietica, adesso Riyadh i petrodollari li mette in attività religiose, un vecchio pallino della monarchia dei Saud. La moschea ha due alti minareti e una struttura imponente. Sembra voler competere con un’altra moschea: quella che sta sorgendo a pochi passi dal parlamento. La costruzione è qualcosa di più di un semplice tempio per gli sciiti afgani. Contempla anche grandi e ordinate strutture per gli studenti. Una sorta di università islamica, super madrasa che faccia chiaramente capire che l’Iran non è solo un potente vicino.
In Afghanistan ognuno cerca di mettere una pietra nella ricostruzione del paese. Le moschee ne sono un segno. Vai in un villaggio e la prima cosa che noti è un tempio ridipinto o con i muri che trasudano cemento fresco. Ma con le moschee non avanzano solo i metri cubi dedicati alla parola di Dio. Aumenta anche la pressione di un messaggio sempre più ortodosso che, tanto per cominciare, ha vietato a Kabul la circolazione di alcolici. Si possono bere solo nei pochi locali con licenza e anche lì, soltanto se avete in tasca un passaporto che giustifichi la libagione. Qualche settimana fa, alcuni tedeschi che non lo avevano, hanno dovuto dare spiegazioni alla polizia.
In realtà agli afgani, assai meno integralisti di come ce li immaginiamo, un goccetto ogni tanto non dispiace. Non che tutti facciano come il dottor Amin (è ovviamente uno pseudonimo) che ti accoglie in casa con vodka dal colore candido. Ma una biretta ogni tanto c’è chi se la fa. Adesso è tabù. In alcune città invece si trova ancora, così arrivi al paradosso che se a Kabul costava un dollaro, la trovi a un euro a 300 chilometri di distanza e fino a due dollari a 50 chilometri dalla capitale. Bizze da stranieri direte voi. In realtà la birra (ne circola anche di russa di ottima qualità) è solo un piccolo esempio di un’islamizzazione strisciante.
Il ministero per la virtù e il vizio, l’uno da santificare l’altro da bandire, ricorda quello dell’epoca talebana. I mullah nei villaggi la fanno da padroni, mantenuti, per amore o per forza, dalla comunità. E sono diventati più forti. Gli islamisti con la I maiuscola, quelli del partito dell’ex presidente Rabani, si sono dati da fare per rimettere in piedi una nuova santa alleanza. Contro Karzai, reo anche di non aver accettato tutte le loro richieste per evitare di essere accusati di crimini di guerra. Nel nome di Dio.