La strategia di guerra del governo di Tel Aviv(intervista)

“Quando Sharon, tre giorni fa, a nome di tutto il governo ha respinto il moderatissimo piano elaborato da Egitto e Giordania per “far cessare le violenze” tornando all’applicazione degli accordi di Sharm el Sheik di ottobre e di quelli precedenti firmati dall’ex premier del Likud, Benjamin Netanyahu, e quando sostiene che non vi sarebbe più una opzione politica dal momento che Arafat è responsabile delle violenze, significa che non ha alcuna volontà di arrivare ad un negoziato ma che persegue una opzione di guerra. Dargli tempo, come sostengono alcuni, significherebe in tali condizioni solamente dargli la possibilità di compiere nuovi crimini”. La condanna del governo Sharon-Peres da parte di Mohammed Baraky, del gruppo parlamentare del Fronte democratico per la pace e l’uguaglianza (il Pc palestinese-israeliano) alla Knesset, ieri in visita al nostro giornale, è totale e si accompagna ad vero e proprio appello ai democratici europei perché si facciano promotori di una campagna per chiedere che venga ritirato a Shimon Peres il premio nobel per la pace. Una mossa, simbolica, che deriva dalla convinzione che senza una uscita dal governo dello stesso Peres e dei laburisti non sarà possibile creare una reale opposizione alla politica guerrafondaia di Ariel Sharon sia in Israele che a livello internazionale. Ed a tal fine sarebbero necessarie ferme prese di posizione, prima che sia troppo tardi, da parte della Ue e dei partiti democratici europei. Ma quale sarebbe l’obiettivo ultimo che Sharon, con la violenza, intende imporre ai palestinesi rischiando a tal fine di destabilizzare l’intero Medioriente?
“Quello di congelare la situazione attuale sul terreno e di trasformarla in definitiva – sostiene Baraky- L’Anp controllerebbe così il 42% dei territori occupati suddivisi in tanti piccoli cantoni isolati l’uno dall’altro, con il 90% della popolazione. Israele vuole in tal modo, a livello internazionale smettere i panni della potenza occupante affidando la responsabilità della popolazione della West bank e Gaza (in termini sia di servizi sociali che di controllo) all’Autorità palestinese. Della popolazione ma non del territorio, delle risorse naturali a cominciare dall’acqua, dell’economia e dei rapporti con gli altri paesi. Tutti elementi fondamentaliper poter parlare di uno Stato palestinese”. “Arafat ha già fatto il suo compromesso storico -continua l’esponente del Pc- accettando uno stato su appena il 22% della Palestina corrispondente ai Territori occupati. Cosa può dargli ancora? Quella proposta israeliana significa non volere una vera pace”. Ma il lavoro per sostenere i diritti nazionali palestinesi nei Territori occupati è solo una parte dell’attività del Fronte ispirato dal Pc i cui elettori sono per il 90% palestinesi con passaporto israeliano e per il 10% ebrei-israeliani. Fronte che nelle zone arabe supera anche il 30% dei consensi e controlla numerose importanti città come Nazareth. Il Pc, il primo sin dalla fine degli anni quaranta a sostenere la necessità di “due stati per due popoli” in Palestina, è anche un importante strumento per combattere l’emarginazione delle popolazioni palestinesi rimaste in Israele “cittadini neppure di serie B ma di serie C o D” e affermare i diritti delle classi lavoratrici sia palestinesi che ebraiche. “Abbiamo proposto una legge per l’eguaglianza tra cittadini arabi ed ebrei – continua Baraky- e la Knesset l’ha respinta come se minasse le basi dello stato. Per capire le discriminazioni di cui siamo vittime basta dare un’occhiata ad alcune cifre. I cittadini arabi in Israele sono circa il 20% della popolazione ma controllano solamente il 2,5% delle terre. Le discriminazioni in termini di servizi, ma non solo, sono evidenti se vediamo come i comuni a maggioranza araba ricevano assai meno di quelli con popolazione ebraica”. Perché vi sia almeno una parità corrispondente alla consistenza delle due comunità i comuni arabi avrebbero dovuto ricevere quest’anno almeno 17 miliardi di Shequel. Il governo Sharon ha invece deciso per 4 miliardi in quattro anni ma di questi ancora non sarebbe arrivato neppure uno shequel. Le discriminazioni sono particolarmente evidenti nel campo d
ella disoccupazione e della scuola. Su 26 città che oltrepassano la precentuale del 10% di disoccupati ben 22 sono palestinesi mentre il 50% dei bambini sotto la soglia di povertà è palestinese (nonostante gli arabi in Israele siano solo il 20%). I palestinesi che lavorano sono per lo più pendolari, soprattutto edili, che spesso sono costretti ad andare lontanissimo dai loro paesi. Questo, secondo Baraky, membro della commissione trasporti del parlamento israeliano, dà loro un altro non inviadiabile record: quello delle vittime degli incidenti stradali il 35% delle quali è arabo. Disastrosa, secondo l’esponente del Pc, la situazione dell’istruzione pubblica nella quale ogni studente ebreo riceve dallo stato il doppio dei suoi colleghi arabi. La scuola a tempo pieno ad esempio non esiste nei comuni arabi. Le conseguenze sono gravissime: i palestinesi costituiscono il 24% della popolazione scolastica nel primo ciclo ma nel secondo diventano appena il 13% e all’università il 4,5%. Ma la cosa che più preoccupa Mohammed Baraky è la violenza con la quale il governo di Tel Aviv ha schiacciato le pacifiche proteste degli arabi israeliani lo scorso ottobre (tredici morti) perseguendo una vera e propria strategia della tensione per spaventare la propria opinione pubblica e aizzarla contro i cittadini non ebrei. “La polizia ha reagito come se fosse nei Territori occupati e non in Israele, con la determinazione di uccidere -Sostiene Baraky- Non a caso l’ordine è venuto dal capo della polizia di quella regione, un fascista uomo di Sharon, mentre un altro ufficiale suo assistente è stato poi fermato perché sospettato di aver esploso alcuni colpi di pistola contro un commissariato. Una evidente provocazione”.