Ernesto Galli della Loggia – prestigiosissimo e spesso saggio editorialista del “Corriere della Sera” da circa un quarto di secolo – ha scritto un articolo di fondo, ieri, per criticare la politica estera del centrosinistra. Riassumo l’articolo in tre punti: primo, non si può fuggire dall’Iraq. Secondo, non si può fuggire perché noi italiani godiamo (non a torto) della fama di imbelli (les italiens ne se battent pas, gli italiani non si battono) e se lasciassimo l’Iraq confermeremmo questa teoria e cattiva fama. Terzo non si può fuggire dall’Iraq perché già troppo volte l’Italia ha cambiato politica estera (tradimento della triplice alleanza, Caporetto, otto settembre eccetera…).
Provo a rispondre con alcune osservazioni. Noi italiani godiamo della fame di popolo imbelle? Non so, ma non mi sembra una pessima fama. Imbelle, cioè senza “bellum”, senza guerra, cioè pacifico? Chissà perché ho l’impressione che sia un complimento. Io preferisco quelli che – se offesi – replicano, casomai, a parole, e non agitando il cric o la chiave inglese. Preferisco l’eroico soldato (vigliacco) Alberto Sordi del film “la grande guerra” al John Wayne violento e volgare dei ”berretti verdi“. Non mi è mai piaciuta la retorica delle schiene dritte, del “mi spezzo ma non mi piego”, anche perché sono cose che piacciono a La Russa, ai nostalgici di Mussolini, e non credo davvero che Galli sia tra essi.
E poi non mi pare che il popolo italiano sia così pappamolle quando si tratta di battersi per delle idee. Tra tutti i paesi dominati dal fascismo e dal nazismo è l’unico – quasi – ad avere avuto una fortissima opposizione (il fatto che fosse guidata dai comunisti e dagli azionisti non ne svilisce il valore), e poi Roma è l’unica città del mondo nella quale si tenne una manifestazione di protesta antinazista, nel 44, durante l’occupazione dei tedeschi, e così Milano e Torino sono le uniche città dove si è scioperato, e Napoli si liberò degli occupanti prendendoli a sassate eccetera eccetera. Tutti episodi che non hanno molti eguali nel resto d’Europa.
Seconda riflessione. Non condivido lo sdegno per i cambi di politica estera. A parte il riferimento a Caporetto, che non ho capito (quella fu una sconfitta militare, non un giro di valzer) non credo che nessuno possa condannare il cambio di politica estera dell’otto settembre del ’43. Eppure Galli protesta e lo indica come un episodio negativo. E perché? Cosa bisognava fare, restare a fianco dei tedeschi e difenderli dall’invasione americana e dalla lotta armata dei partigiani? Deve esserci un errore.
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Il presidente della Repubblica ha detto che il nostro esercito è in Iraq in missione di pace. Non posso credere che il presidente ignori che in Iraq c’è una guerra, che i protagonisti di questa guerra sono gli americani (che ancora ieri hanno iniziato un nuovo assedio a una nuova città), e che gli italiani sono lì non come forza di interposizione ma a sostegno dell’occupazione americana. Si possono fare sofismi finché si vuole, ma la guerra è guerra e la pace è pace, e non servono i filosofi per distinguere una cosa dall’altra: basta un colpo d’occhio
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Ci sarà una sollevazione politica internazionale – una condanna netta, una intimazione ai responsabili perché cessino la loro attività guerresca, aggressiva e illegale – dopo la nuova strage israeliana a Gaza nella quale sono stai uccisi tra gli altri tre bambini, uno di tre anni, uno di un anno e mezzo? E’ veramente difficile costruire un fronte compatto e forte che isoli il terrorismo palestinese, se poi non si scatta nella condanna fermissima per il terrorismo di Stato. Si, uccidere tre bambini con un missile non è una operazione di polizia, è un gesto di terrore.
Certo, il governo Israeliano ha chiesto scusa. E’ un segno di buona educazione. Ma un gesto così può avere un senso solo se accompagnato dal cessate il fuoco, dall’impegno a non sparare più, a chiudere i missili negli arsenali, altrimenti le scuse finiscono per assomigliare semplicemente a una gentile rivendicazione.