La speranza di Mirafiori

Le operaie e gli operai di Mirafiori hanno parlato a nome di tutti. Una classe operaia intelligente e maliziosa, come quella del grande stabilimento della Fiat, ha saputo sfruttare al meglio la fortuna di un’assemblea per la prima volta seguita da giornali e tv. Si è così reso visibile quello che già c’era dappertutto ma che, purtroppo, non appariva: grandissima parte del mondo del lavoro la pensa come le assemblee di Mirafiori. Cosa hanno voluto esprimere quelle assemblee, al di là della rituale interpretazione sul malessere operaio nella società delle ricchezze sfrontate e dannose? Esse hanno espresso chiari giudizi politici. Hanno detto al governo che così non va, come ha riconosciutocon molta onestà il ministro Ferrero, sostenendo che i fischi erano rivolti anche alla compagine governativa. Gli operai hanno detto che il cambiamento rispetto alle politiche di Berlusconi e, soprattutto, alla gravità della situazione sociale del lavoro è inesistente o insufficiente.
Questo è il vero giudizio del mondo del lavoro sulla finanziaria, ed è inutile continuare nel paternalismo elitario di chi lamenta che la gente non capisce o di chi accusa il paese di essere impazzito. Si prenda atto della realtà, si rispetti chi non è d’accordo e ci si confronti con le obiezioni popolari. Se si farà così si capirà senza fatica che la cosiddetta “fase due” della politica economica del governo, che secondo i riformisti dovrebbe riequilibrare a favore delle imprese e del mercato una finanziaria troppo di sinistra, in realtà dovrà avere un segno esattamente contrario a quello rivendicato dal Corriere.
I lavoratori chiedono una “fase due” di giustizia sociale e diritti, e non vogliono sentir parlare di patto di produttività, innalzamento dell’età pensionabile, altri sacrifici, pensando con ragione di dover solo recuperare quanto perso. Gli operai di Mirafiori, così come tanti giovani precari, sono stati determinanti per il difficile successo elettorale del centrosinistra. Senza lo spostamento dei loro voti rispetto al 2001, oggi governerebbe ancora Berlusconi.
Per questo le assemblee di Mirafiori hanno inviato un messaggio indiretto ma chiaro al governo. Ma se questo è il messaggio che viene rivolto alla politica, ce n’è uno diretto e immediato che viene rivolto alle organizzazioni sindacali. Ad esse si dice che l’indispensabile cambiamento negli indirizzi di politica economica e sociale deve essere prima di tutto rivendicato e conquistato dall’iniziativa sindacale. E’ retorico continuare a ripetere che in fondo tutto va al meglio possibile e che Cgil, Cisl e Uil non sono colpite dalla sindrome del governo amico. Se gran parte dei lavoratori pensa il contrario e se le assemblee di Mirafiori lo dicono con forza, vuol dire che qualche verità nelle critiche ci deve pur essere.
Al sindacato si chiede di fare il proprio mestiere indipendentemente da chi governa. Non è compito di Cgil, Cisl e Uil farsi carico delle compatibilità del quadro politico. Il movimento sindacale può avere le proprie compatibilità ma esse, oltre ad essere totalmente autonome da quelle dell’impresa e del mercato, non devono neppure dipendere dagli equilibri tra riformisti e radicali di governo. O dal futuro del partito democratico o da quello della sinistra radicale. E’ questo un concetto apparentemente molto semplice, ma il fatto che nelle assemblee di Mirafiori questo sia stato il tema centrale dice, evidentemente, che questa questione è all’ordine del giorno. Ma come lo costruisce il proprio punto di vista indipendente, il sindacato? E qui c’è il secondo chiaro messaggio dell’assemblea di Mirafiori. Ci vuole la democrazia. Si deve trattare con il mandato esplicito dei soggetti interessati alla vertenza. I giornali hanno sottolineato con particolare enfasi il fatto che da 26 anni i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil non andavano a Mirafiori. Paradossalmente il problema principale non è questo. Sappiamo che nella vita organizzata del sindacato non sempre è facile produrre eventi come quello di Mirafiori. Il problema più grave è un altro. E’ che in questi mesi il sindacato confederale ha dato dei pareri positivi sulla finanziaria, ha firmato l’accordo sui call-center, ha firmato il memorandum sulle pensioni, ha firmato l’accordo sul Tfr e non si è chiesto ai lavoratori, in assemblea e con il voto, cosa pensassero di questi atti così importanti per loro. Il problema non è quello che avviene sotto le luci dei riflettori delle tv, ma quello che non avviene nel rapporto quotidiano del sindacato con i lavoratori. La democrazia sindacale, quella vera, ove si vota su piattaforme e accordi, ove si partecipa alla costruzione delle piattaforme, ove l’azione sindacale è sottoposta alla validazione consensuale dei lavoratori, questa democrazia sindacale è purtroppo oggi prevalentemente in disuso. E non solo sulla finanziaria o sul Tfr, ma nella contrattazione con le imprese. Solo i metalmeccanici mantengono la buona abitudine di fare il referendum su piattaforme ed accordi. In tutte le altre categorie questo principio elementare della democrazia o non è mai stato utilizzato o è stato abbandonato. E così si fanno piattaforme senza far votare i lavoratori, si discutono temi di grandissima rilevanza nella condizione di lavoro senza neppure confrontarsi con i diretti interessati. Ora si prepara il tavolo sulle pensioni, mentre la Confindustria rivendica quello sulla produttività e sui contratti. Se vogliono davvero ascoltare i lavoratori di Mirafiori Cgil, Cisl e Uil assumano un impegno preciso e solenne: non si siedano a nessun tavolo, non avviino nessun negoziato, non sottoscrivano alcun impegno o intento, prima di avere discusso e deciso nel dettaglio con i lavoratori cosa rivendicare, cosa contrastare. Oggi dai lavoratori italiani non viene alcun mandato alle organizzazioni sindacali per innalzare l’età pensionabile, ridimensionare il contratto nazionale, concedere ulteriori flessibilità sugli orari e sulle condizioni di lavoro. Le lavoratrici e i lavoratori vogliono che il sindacato chieda di più rispetto al passato, sul salario e sulle condizioni di lavoro vogliono cominciare a risalire la china e non restare nel fondo ove sono precipitati. Invece le prime piattaforme contrattuali, paradossalmente ma non tanto, chiedono meno di quanto si rivendicava con il governo Berlusconi e con un’economia e con profitti delle imprese che andavano molto peggio di oggi. C’è da definire una piattaforma, anzi, si devono stilare più piattaforme, ma la questione prioritaria è un’altra: devono essere le lavoratrici e i lavoratori a decidere. Questa è la sostanza della questione e non vale parlare d’altro. Se si vuole davvero dar valore al pronunciamento di Mirafiori, lo si rispetti cambiando. Da quelle assemblee viene un segnale positivo per costruire un cambiamento sociale che vada nella direzione opposta a quella rivendicata da una destra resa sempre più aggressiva anche dagli errori del governo e del sindacato. Tutto può rimettersi in moto positivamente proprio perché dopo tanti mesi di silenzio le lavoratrici e i lavoratori stanno riprendendo a discutere, al lottare e, perché no?, a fischiare.