La Siria vede rischi dentro Unifil. «Rispettiamo la missione, ma…»

Sulla scena internazionale, e anche in Italia, molti si chiedono come reagiranno la resistenza libanese, la popolazione locale e, a livello regionale, la Siria, all’arrivo dei nuovi caschi blu in Libano. Ne parliamo con l’esponente del partito Baath siriano Judah Attiyya, che incontriamo nella sede del comando regionale del partito nel centrale quartiere di Baramke, dietro l’università. Attiyya ci riassume le preoccupazioni di Damasco sulla risoluzione 1701 e sul cessate il fuoco, e per i tentativi degli Usa e di Israele di poterla strumentalizzare per colpire sia Hezbollah che la Siria.
«Se siete pronti a rispettare la sovranità libanese – dice il dirigente siriano – e il diritto dei libanesi a difendersi dalle aggressioni israeliane e a liberare i loro territori ancora occupati, non credo che da quella parte verrà alcun atto ostile o una violazione della tregua. Piuttosto dovreste chiedervi, ed è il vero problema, cosa farà Israele che ha sempre colpito le postazioni Unifil e che sta dando il meglio di sé per minare il cessate il fuoco. Cosa faranno le forze Unifil in caso di provocazioni o attacchi israeliani? Cercheranno di fermarli o di bloccare la risposta degli Hezbollah? E’ sempre stato Israele a invadere il Libano e ad occuparlo, non certo il contrario. Quindi la domanda è se Israele e gli Stati uniti siano o meno disposti ad accettare una sconfitta come quella che hanno subito in Libano e a incamminarsi verso una pace giusta, o se mirano invece ad un possibile secondo round, magari con la Siria
Quali sono le riserve della Siria sulla risoluzione 1701?
Questa risoluzione è parziale perché non affronta nessuno dei problemi di fondo all’origine del conflitto (l’occupazione israeliana delle fattorie di Sheba libanesi, della West Bank e del Golan e lo scambio di prigionieri) – è ingiusta perché ha tenuto conto solamente degli interessi di una delle due parti, Israele, ed è molto ambigua sul cessate il fuoco, sul ritiro israeliano dai territori libanesi occupati, sulla fine del blocco aereo e navale. Israele, sostenuta dalla richiesta Usa di una nuova risoluzione, continua nei suoi attacchi, parla di un nuovo round della guerra, chiede di inviare l’Unifil all’aeroporto di Beirut e lungo il confine con la Siria. Si tratta di richieste che possono far precipitare la situazione. La delegazione libanese e quella araba nel loro incontro con il Consiglio di sicurezza sono state chiare: “dateci una risoluzione che sia giusta e allo stesso tempo applicabile”, e il disarmo degli Hezbollah non è né giusto né realistico. I timori della Francia sarebbero legati proprio all’incertezza derivante dalle prossime mosse israeliane e americane, sulle quali i paesi che invieranno le truppe, nonostante le loro migliori intenzioni, non sembra abbiano alcuna influenza”.
Se sul terreno dovesse passare, nei fatti, l’interpretazione americana dei compiti della nuova Unifil?
Se arriverà una nuova risoluzione o se, in concreto, quella attuale verrà applicata nella versione americana o israeliana per limitare la libertà di azione degli Hezbollah, tutto ciò sarà molto pericoloso perché questi rappresentano un volontà e una resistenza nazionale contro le politiche di Israele e Stati uniti. In particolare questi ultimi vedono negli Hezbollah un ostacolo sia all’attuazione della loro politica di una “pace senza ritiro”, cioè di normalizzare i confini di Israele senza che Tel Aviv si ritiri dai territori occupati palestinesi, siriani e libanesi, sia al loro controllo sul Libano.
Gli Usa non perdono occasione per accusare Damasco di attentare alla sovranità del Libano…
I fatti e la guerra ci dicono esattamente il contrario. Noi ci siamo ritirati dal Libano, sosteniamo il cessate il fuoco e chiediamo che ogni decisione sul Libano sia lasciata ai libanesi. Chiediamo di risolvere il problema alla radice con una pace giusta nella regione che veda il rispetto di tutte le risoluzioni sul conflitto arabo-israeliano e il ritiro di Israele sulle frontiere del 1967. Noi siamo pronti a riprendere i negoziati con Israele sulla base del principio “ritiro completo per una pace completa”. Se l’ultima guerra in Libano ha smentito che, come si diceva una volta, “non si può fare la guerra senza l’Egitto”, dall’altra ha confermato che “non si può fare la pace senza la Palestina e senza la Siria”.