La sinistra: fiducia ma anche verifica

L’Unione non c’è più. Non resta che prenderne atto anche a sinistra. Temendo il peggio in senato, Prodi decide di blindare il ddl sul welfare con il voto di fiducia anche alla camera, dove sulla carta gode di una maggioranza bulgara. E in un colpo solo stramba verso la Confindustria e rompe forse definitivamente il legame con l’ala sinistra della coalizione.
«Il vincolo politico non c’è più- avverte il segretario di Rifondazione Franco Giordano dopo una travagliata riunione dei deputati Prc alla camera e della segreteria – resta per noi il vincolo sociale. A gennaio, dopo la finanziaria, bisogna aprire una nuova fase politica, con una verifica programmatica con il governo per vedere se ci sono le condizioni per andare avanti. Il programma elettorale ormai è un pezzo da museo, un reperto di archeologia industriale. Da quella verifica dipenderanno le nostre decisioni».
La scelta prodiana sconcerta la sinistra, costretta ad allinearsi pena il ritorno dello scalone Maroni. Ma non è che fosse inattesa. Già all’ora di pranzo Giordano, Mussi, Pecoraro Scanio e Diliberto concordano una strategia comune: sì alla fiducia ma anno nuovo vita nuova. O la sinistra ottiene qualche certezza su precarietà, pace, ambiente, ricerca e diritti civili oppure ognun per sé. Una decisione simile è stata presa ieri nella segreteria del Pdci: «Se ci sono le condizioni si sta al governo, sennò si esce», sintetizza imbufalita la capogruppo in senato Manuela Palermi.
Il malumore è palpabile ovunque. Nel voto del gruppo di Rifondazione alla camera la maggioranza «bertinottiana» ha perso pezzi: su 35 deputati presenti in 10 si sono espressi contro il voto al governo. Nomi noti e non: i no alla fiducia di Ramon Mantovani, Paolo Cacciari, Francesco Caruso, Franco Russo, Maurizio Acerbo, Mercedes Frias, Matilde Provera e Angela Lombardi si sono aggiunti a quelli degli unici due dirigenti delle «minoranze» Alberto Burgio e Gianluigi Pegolo. Anche chi ha votato per la fiducia, per esempio Elettra Deiana, non faceva certo salti di gioia. Ovviamente, specifica il capogruppo Gennaro Migliore, «tutti i deputati si sono impegnati a sostenere in aula la scelta del partito votando la fiducia senza eccezioni».
Furiosi anche i socialisti di Boselli, che ieri in un pranzo con Prodi hanno preso atto della totale chiusura del premier alle loro richieste sul sostegno ai giovani disoccupati. «D’ora in poi mani libere anche per noi», avverte il segretario socialista, che toma a parlare di rimpasto e verifica.
Anche Paolo Cento, che pure per il Sole che ride fa il sottosegretario, invita la sinistra a prendere le distanze: «Da gennaio il tema deve essere quello dell’autonomia politica dal governo, Dini e chi per lui va avanti con una pistola carica e noi non possiamo rispondergli con una mazzafionda». Tradotto: in parlamento non si passa. E anche la verifica rischia di rivelarsi solo una falsa (ri)partenza. Soprattutto se non si esplicita la possibilità di passare all’appoggio esterno e ritirare i ministri dal governo. La rotta, del resto, l’aveva data Fausto Bertinotti di buon mattino ai microfoni di Radio 24; «Dovunque si situi l’asticella – ha spiegato il presidente della camera riferendosi al compromesso sul welfare – non sarà tale da provocare una crisi nella vita del governo». Così è stato, anche se oggi la questione sarà di nuovo al centro di una riunione della segreteria, dove si valuteranno soprattutto le ultime sviolinate tra Veltroni e Berlusconi sul sistema elettorale spagnolo che, se approvato, marginalizzerebbe la sinistra anche se coalizzata in una «cosa rossoverde».
E’ la federazione della sinistra, infatti, l’alfa e l’omega di Rifondazione. Architrave del 20 ottobre come se non più del protocollo sul welfare. La «massa critica» più volte auspicata da Bertinotti è il rispetto di quel blocco sociale – operai ma non solo – e la costruzione di un perimetro allargato a quattro partiti che consenta alla sinistra di non scomparire. Solo che cercando la sicurezza dei recinti alla fine si rischia di rimanerci chiusi dentro. Forse, la vera rottura ci sarà solo se la legge elettorale non aiuterà un parto così travagliato.