La sinistra di fronte all’ennesima strage «Ripensare la missione per una pace vera»

“Profondo cordoglio”, «orgogliosi di lui», il ministro segue l’evolversi della situazione, fascia nera al braccio dei giocatori, due città – Lecce e Novi Ligure – in lutto, minuto di silenzio negli stadi, «diamogli subito una medaglia d’oro», «no alle solite strumentalizzazioni», minuto di raccoglimento anche nei palasport del basket e della pallavolo, «ritirarsi sarebbe arrendersi al terrorismo», in casa della vittima gli psicologi dell’esercito, «è morto al servizio della pace… servendo il Paese», «la missione non è in discussione…la pace è una strada lunga», la Procura di Roma apre un fascicolo per strage.
Il catalogo delle frasi fatte del cordoglio si completa già poche ore dopo l’arrivo della notizia dell’ennesima strage in Afghanistan, e della morte di un altro soldato italiano, un maresciallo. Pugliese ma emigrato da bambino verso Torino, con la sua famiglia, appena adulto s’è arruolato per andare a morire in missione. Aveva 35 anni. Chi l’ha spedito laggiù si affretta a schierarsi a fianco della famiglia giurando cordoglio e orgoglio ma buttando le mani avanti: la missione non si tocca. Parlano tutte le autorità, da Prodi a Marini a Parisi, da Mastella ai sottosegretari Verzaschi, Craxi, leader come Boselli, fino agli oppositori leghisti, Casini, Capezzone, Buttiglione, dal dolore straziato di Forcieri, il sottosegretario che è andato negli Usa a perfezionare l’appalto per gli F35, al noto pacifista Buontempo fino ai fascisti della Fiamma che salutano i «nuovi legionari, veri camerati, nel mirino del popolo ingrato» che starebbero beneficando.
Per trovare cenni di ripensamento sul senso della missione bisogna spulciare tra i dispacci di agenzia che riportano le prese di posizione di esponenti della sinistra. «L’attentato mostra tutta la drammaticità che caratterizza ancora la situazione afgana – dice il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero – i gravi rischi dei militari italiani e il perdurare di un contesto di guerra civile, credo ci invitino a riflettere con molta attenzione sul senso e le modalità della nostra presenza in quel paese». «Consapevole» che Paladini sia morto per «contrastare un attentato» le cui conseguenze, altrimenti «sarebbero state molto più tragiche» anche Giovanni Russo Spena, capogruppo dei senatori Prc, domanda un ripensamento: «E’ evidente che la spirale guerra-terrorismo è ormai del tutto incontrollabile. Il tentativo di risolvere tutto con la forza delle armi è fallito e la sola via d’uscita può essere rappresentata da una vera conferenza di pace». Il rischio è un’«irakizzazione dell’Afghanistan», segnala Pietro Folena. «Veniamo identificati dalla guerriglia talebana e soprattutto da ampi settori della popolazione locale – avverte la deputata Prc Elettra Deiana – come truppe belligeranti di occupazione e non come un sostegno alla ricostruzione del loro Paese». E anche i verdi si interrogano su come fare che «la situazione afgana diventi come quella irachena» (Bonelli, capogruppo a Montecitorio). Pecoraro Scanio coglie l’urgenza di un’«azione in grado di garantire una vera pace». «Cambiare strategia, con una nuova presenza sotto l’egida Onu e con al centro la società civile – spinge Vittorio Agnoletto, europarlamentare Prc – l’eccidio conferma il fallimento della missione militare». E un altro ministro, Giuliano Bianchi, in area Pdci, si augura un «ripensamento» visto che la situazione «può solo peggiorare».
Ai margini del convegno “Un futuro senza atomiche” in corso a Milano, parla Alfio Nicotra, responsabile Pace del Prc nazionale: «Le reazioni di larga parte del mondo politico davanti alla tragica morte del maresciallo Paladini sono dettate da una profonda ipocrisia. Si pretende di utilizzare il sacrificio del militare italiano non per aprire una riflessione ma per procastinare all’infinito la missione, ormai da tempo tassello della strategia della guerra permanente del Pentagono. Noi abbiamo provato a condizionare le scelte del governo ma non è stato sufficente a far uscire l’Italia da quella guerra. La Nato sta facendo la fine dell’Armata Rossa e di fatto aiuta quell’integralismo fondamentalista che dice di voler combattere. Penso che sia giunto il momento che la sinistra pacifista si palesi con più forza nel Paese e in Parlamento. Mi auguro che dagli stati generali della sinistra sia assunta da tutti Un’efficace iniziativa per il ritiro delle truppe». Anche il fronte No war prende parola e stamani a Roma terrà la sua assemblea nazionale (ore 10 aVia Marsala 42): «Coloro che piangono i morti sono gli stessi che li mandano a morire – commenta Salvatore Cannavo, deputato Prc dell’area di Sinistra critica – il governo Prodi, nella sua interezza, con l’unica eccezione di Sinistra Critica ha aumentato gli stanziamenti per le missioni che, in silenzio e in sordina, sono stati dislocati su un fronte di guerra contro i talebani. Ora è arrivato il peggio per i soldati italiani ed era prevedibile. Chiedere il ritira dei soldati è semplicemente morale ed è l’unica soluzione che possa permettere di evitare altre stragi». Anche Piero Bernocchi, portavoce Cobas, si spende contro l’«ipocrita coro di un governo che fa la guerra esattamente come quello berlusconiano. Chi davvero non vuole più morti, deve chiedere la fine di una ignobile guerra e il ritiro immediato delle truppe».