La sinistra che verrà. La sinistra senza aggettivi. La sinistra ecologista. Il partito della sinistra. La federazione. La confederazione. La cosa rossa e la casa rossa. La costituente. L’unità d’azione. Il cartello elettorale. L’unità comunista prima e della sinistra dopo. E potrei continuare…
Possono tutte queste cose essere sintetizzate dalla formula “soggetto unitario e plurale”? Può questa formula essere chiara per permettere scelte consapevoli? E’ l’idea del “soggetto unitario e plurale” capace di guidare un processo o è un espediente per nascondere idee completamente diverse fra loro? La mia risposta è scontata.
Inoltre esiste un contesto nel quale si discute di tutto ciò. Quattro partiti collocati nel governo convocano un processo unitario per darsi maggior forza dentro il governo e per costruire un’alternativa al Partito Democratico. E, indiscutibilmente, la percezione dell’opinione pubblica dell’operazione è che si fa un nuovo partito, come hanno fatto altri. Ma tre di questi partiti e (si può dire?) anche un pezzo di Rifondazione pensano e dicono che con il governo non si può rompere, che bisogna avere una massa critica (elettorale ovviamente) per essere alleati influenti del Partito Democratico. Mi si dirà che il processo unitario provocherà la partecipazione di tanti “senza tessera”. Ma posso porre una domanda, forse proibita? Non avere una tessera è diventata una qualità in se? Chi l’ha è un minus sapiens? Un “militonto” come si sarebbe detto in altri tempi? Chi attacca i manifesti, lavora per le feste, partecipa ad infinite riunioni, ama la dimensione collettiva della politica è peggio di chi non lo fa o lo fa in reti ed associazioni? Sia chiaro, io non penso che chi ha una tessera sia meglio. Conosco i limiti e i vizi dei partiti, a cominciare da quello del leaderismo, del conformismo e del carrierismo che produce. So e vedo bene quanto c’è nella società civile, in basso, come parte indispensabile della trasformazione sociale. Ma vorrei far notare che il politicismo non abita solo le sedi di partito, che il ragionare da “ceto politico” non appartiene solo a deputati e funzionari di partito. E poi siamo sicuri che, al di la di tanta retorica, non arrivi una massa, tanto a livello locale come a livello nazionale, di ex PCI ed ex Rifondazione animati dalla volontà di superare il PRC e con esso l’anomalia di un partito che sta NEL movimento (non che DIALOGA col movimento) e che può rompere con il governo? Del resto, a leggere certi appelli e certi articoli di illustri personalità, è tutto un pullulare di compagne e compagni che ci hanno insultati per la caduta del Governo Prodi, attaccati per la nostra vicinanza allo zapatismo, aspramente criticati per ognuna delle rotture consumate con la tradizione della sinistra e comunista. Io, al contrario di quello che alcuni pensano, non sono un settario e mi interessa discutere, dialogare ed anche fare cose con queste persone. Semplicemente non mi sembrano superati i motivi di fondo delle nostre divisioni per fare un partito insieme. Non ho mai pensato che il PRC fosse immortale né che l’identità comunista fosse fissa ed immutabile. Ma ho creduto, e credo, nel progetto politico di un partito capace di riconoscere i propri limiti, interno al movimento mondiale contro la globalizzazione, innovativo al punto di concepire elezioni e governo come meri luoghi secondari dell’agire politico. L’assemblea degli “stati generali” che si è svolta l’8 e il 9 dicembre va in questa direzione? Una platea che mostra fastidio nei confronti del movimento No Dal Molin si dispone a fondare un soggetto interno ai movimenti? L’applausometro e il leaderismo incombente sono metodi partecipativi dal basso? Le tonnellate di retorica sono un linguaggio nuovo e vicino ai soggetti sociali? La questione del governo è stata affrontata adeguatamente? Perchè nella “carta degli intenti” dell’8 e 9 dicembre c’è scritto “L’ambizione è quella di costituire non una forza minoritaria, ma una forza grande ad autonoma, capace di competere per l’egemonia, influente nella vita della
società e dello Stato, che pesi nella realtà politico-sociale del centrosinistra.”? Cos’è la “realtà politico-sociale del centrosinistra”? Mi interesserebbe, al prossimo congresso, discutere veramente di tutto questo e di quanto il governo (e non solo quello nazionale) ci ha cambiati. Di come siamo stati negli esecutivi. Di quali errori abbiamo commesso. Di quanto sia reale la nostra internità nei movimenti e nelle lotte, oggi. E mi piacerebbe discutere dell’unità senza che sia presentata come l’ultima spiaggia dell’esistenza stessa della sinistra e senza l’insopportabile retorica della “velocità” e delle “accelerazioni”. Qualche settimana fa Liberazione ha posto una domanda “proibita”. Si può continuare a stare in questo governo? Tutti sanno che se Rifondazione rispondesse negativamente a questa domanda, come io penso sarebbe giusto fare arrivati a questo punto, il processo unitario a sinistra andrebbe immediatamente in frantumi. O no? Forse è per questo che non si è fatta la consultazione di massa in autunno sulla nostra permanenza al governo che pure era stata decisa dal CPN di luglio. Forse è per questo che non si è scelto di provocare subito la verifica annunciando il voto contrario all’inaccettabile provvedimento sul welfare.
Insomma, insisto ed insisterò nelle sedi deputate a decidere, affinché la discussione congressuale sul governo e sull’unità della sinistra sia chiara e per impedire che il progetto politico per il quale abbiamo lavorato tanti anni venga “superato”, diluito o ucciso.