La sicurezza privatizzata che piace a “la Repubblica”

La maggioranza parlamentare ha stravolto la causa di giustificazione della legittima difesa con una norma autoritaria di dubbia costituzionalità, perché diretta ad attribuire poteri di violenza armata senza rigorosi limiti, nonché a ridurre indiscriminatamente la libera valutazione dei giudici nella ricostruzione e nella valutazione del fatto-reato.
La legittima difesa si basa sul riconoscimento dell’autotutela privata, sussidiaria, sostitutiva rispetto alla tutela pubblica, nel caso in cui non si possa ricorrere a quest’ultima con tempestività. Un cittadino non è punibile se commette, ad esempio, un atto di violenza perché costretto dalla necessità di difendere un proprio diritto di pari grado contro l’attuale pericolo di un’ingiusta offesa.

In caso di reazione del proprietario nei confronti di un estraneo penetrato per commettere un furto, si realizza una situazione aggressiva contrapposta a una situazione difensiva: il giudice deve effettuare un bilanciamento tra il diritto di proprietà e il diritto di escludere estranei dal proprio domicilio, da un lato, e il diritto alla vita e all’incolumità fisica dell’intruso, dall’altro. In questo bilanciamento deve tenersi conto dell’attualità del pericolo, della sua presenza al momento della reazione: nessuna giustificazione avrà un comportamento lesivo se il pericolo è passato, nel senso che l’intruso si è dato alla fuga. Non si può parlare neanche di eccesso colposo nel caso in cui la reazione violenta non sia più necessaria e ciononostante si spari: vi è una volontà omicida rispetto all’iniziale necessità di difesa, che non merita alcuna esimente e alcuna riduzione di pena.

La legge finora imponeva al giudice, nel bilanciamento di beni giuridici in conflitto, di valutare la proporzione tra offesa e difesa, tenendo conto del grado e dei modi della tutela riservata dall’ordinamento a questi beni. Finora era pacifico, quindi, che un bene patrimoniale non potesse essere difeso a prezzo della vita dell’aggressore. Con la nuova norma questa proporzione è presunta; questo bilanciamento è inattuabile per una scelta coattiva del legislatore.

La nuova norma invita il proprietario a munirsi di un’arma, garantendogli l’impunità se – sorpresa una persona nella propria abitazione o nel luogo di lavoro – usi quest’arma per difendere non solo la propria e l’altrui incolumità, ma anche i beni propri o altrui, laddove ritenga di trovarsi in una «situazione di pericolo di aggressione».

Quali sono gli aspetti maggiormente negativi della “riforma”?

Innanzitutto può essere interpretata come istigazione all’uso fuori norma della violenza armata. E’ notevole la forzatura con cui i padrini della riforma reclamizzano l’illegittima difesa, garantendo l’impossibile (niente più umilianti processi per chi spara ai ladri!). Ammesso che nel momento dello sparo non fosse possibile ottenere la tempestiva presenza delle forze dell’ordine, i poteri dello Stato non sono cancellati del codice leghista: polizia e magistratura interverranno per accertare – a prescindere dalla presunta proporzione offesa-difesa – l’esistenza o meno di una evidente volontà omicida, che sicuramente non può essere presuntivamente esclusa in chi abbia sparato sul fuggitivo o abbia esploso più colpi sulla persona già ferita.

Non conosciamo le circostanze in cui l’imprenditore veronese ha ieri sparato i numerosi colpi e ha ucciso l’estraneo che tentava di entrare nella sua abitazione. Sappiamo per certo che eventuali imitatori, anche se spareranno sotto la vigenza della nuova norma, dovranno ben guardarsi da pesanti conseguenze penali, ove tengano comportamenti indicativi di una pregiudiziale volontà punitiva.

Lo sparatore non creda di poter impunemente opporre ai poteri dello Stato l’autoproclamazione suggerita da Francesco Merlo ieri su “La Repubblica”: Lo Stato sono io. Polizia e magistratura lo convinceranno che, nella nostra Costituzione, il monopolio della violenza è dello Stato e solo in via sussidiaria può essere esercitata dal cittadino a scopi meramente autodifensivi e non per tutelare tutta la nazione dall’invasione dei barbari.

L’intervento di “Repubblica” in difesa dell’estremizzazione dell’autotutela è interessante perché dimostra come la passione per privatizzare tutto e subito, espressa da ambiti di cultura progressista, si stia estendendo anche nel campo dell’ordine pubblico. Con questa “rivoluzionaria” riforma e con la sua appassionata difesa si invita lo Stato a privatizzare la sicurezza dal crimine: i cittadini, da vittime potenziali, da soggetti da tutelare, devono organizzarsi a un incivile e pericolosissimo fai da te, anche a costo di un ritorno nelle caverne dell’homo homini lupus. Siamo incaricati di diventare diretti artefici di una sommaria, fulminante e irrevocabile individuazione e punizione del colpevole o del presunto tale.

Al di là del piano tecnico-giuridico, la filosofia ispiratrice di questa norma è quella di tutelare e proteggere la paura dei cittadini e la violenza cieca che ne può derivare. Gli autori di questa “chiamata alle armi” ritengono di poter legittimare all’uso delle armi coloro che spareranno nello stato di “ragionevole timore” generato dal clima di paura che gli irresponsabili governanti e i loro portavoce – alla perenne caccia di consensi di vario tipo – hanno contribuito a diffondere nella società.

In questa sopraelevazione della Casa delle Libertà, ognuno dovrebbe aver mano libera di utilizzare le armi e di offendere la vita altrui con vaghi limiti e comunque senza rispetto della proporzione tra offesa temuta e difesa esercitata.

Va comunque richiamata la tesi pacifica della dottrina, secondo cui la necessaria proporzione tra offesa e difesa trova un insuperabile base nell’art. 2 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il quale stabilisce che «la morte non è considerata illecito» solo «quando è assolutamente imposta dalla necessità di difendersi da una violenza illegittima»: se la necessità di respingere una violenza alla propria persona costituisce requisito indispensabile per qualificare come legittima la morte inflitta ad altri, se ne può dedurre che non è consentito aggredire la vita altrui per difendere diritti di natura puramente patrimoniale o comunque gerarchicamente inferiori alla vita e all’integrità fisica della persona.

Tocca ai giudici continuare a manifestare la propria soggezione a questi principi di civiltà giuridica e la propria indipendenza dal grande partito della privatizzazione.

*magistrato, direttore di “Critica del diritto”