La sfida tra Ferrero e Vendola è soprattutto per il tesoretto di Bertinotti

Io lo so che molti tra voi lettori non ci crederanno. Ma sono legato a Fausto Bertinotti da una stima vera e profonda. Tanto da non avere alcuna difficoltà ad ammettere che rimpiango molto che egli non sia in Parlamento. Ha pagato un amaro prezzo, al fatto di aver indicato per primo e con anni di anticipo alla sinistra antagonista l’abbandono di ogni pratica violenta, e una lettura della globalizzazione più in chiave di nuovo umanesimo lacaniano, che di vecchio leninismo. La conferma di quanto Fausto abbia operato con la testa sulle spalle, viene dai conti che vi presentiamo, quelli di Rifondazione comunista.
La vera partita al VII Congresso nazionale di Rifondazione, il prossimo 24 luglio a Chianciano, non è solo politica, per lo scioglimento del partito in un soggetto diverso oppure no. È per il patrimonio che Rifondazione, negli anni di Fausto, ha oculatamente messo in cascina. I conti sono presto fatti. Ci sono circa 27 milioni di euro che a Rifondazione spetteranno nei prossimi tre anni, pur non essendo più in Parlamento, per effetto dei precedenti turni elettorali -nazionale, regionale ed europeo. La legge di rimborso ai partiti in Italia funziona così. E anzi, se passa la leggina di quel callido ex amministratore dei Ds che è Ugo Sposetti, a Rifondazione il flusso aumenterà fino a scavallare le prossime politiche.
Sposetti è un genio, in queste cose. Come ha blindato in due anni il patrimonio Ds dalla mire del Pd – è lui il vero antiveltroniano di ferro, il patrimonio fonda la politica e non viceversa – allo stesso modo getta un ponte a Rifondazione in futuro per conto di Massimo D’Alema. E io li capisco, perché le identità di partito si difendono e non praticano l’eutanasia se non coatta, storicamente è giusto così. E dunque, se passa la linea Sposetti che nasce per dare una mano a tutti i partiti esclusi dal Parlamento nell’attuale legislatura, ecco che il flusso di cassa su cui potrà contare l’eligendo capo di Rifondazione supera i 30 milioni di euro. A questo va aggiunto il valore patrimoniale delle sedi del partito.
Non c’è solo la sede centrale a viale del Policnico a Roma, quella con i quadri di Mario Schifano e la scrivania originale di Cossutta, né solo quelle a Napoli, Genova e Livorno. dei 2.500 circoli territoriali di Rifondazione, al centronord la maggioranza ha sede in unità immobiliari di proprietà del partito, attraverso proprie società. Solo nel centrosud, prevalgono gli affitti. Sommando cassa a patrimonio, si superano abbondantemente i cento milioni di euro della nostra stima, volutamente per difetto. Fausto Bertinotti ha lavorato per il futuro. Per questo non meritava lo schiaffo durissimo che ha dovuto incassare, per di più in una fase in cui la salute non lo aiutava molto, come i sui amici sanno e la stampa invece no: anche questo un segno apprezzabile, in tempi in cui su ogni cosa fiorisce il gossip.
Il problema è che i partiti politici non sono società per azioni, in cui bisogna rispondere ai propri soci in percentuale alla loro fetta di capitale. Chi vince un congresso di partito, anche solo con il 50,1%, fa banco e vince tutto, per quanto riguarda il controllo di borsa e patrimonio. Segretario e tesoriere sono amministratori unici, del nome, simbolo e finanze del partito. Ed è innanzitutto per il controllo su oltre 100 milioni di euro, che è in corso la gara senza esclusioni di colpi tra l’ex ministro Ferrero, il mite valdese d’acciaio che lotta per la difesa dell’identità del partito, e Niki Vendola, più in linea con il “soggetto diverso”, una specie di Sinistra Unita con l’arcobaleno nel simbolo, il libro aperto e sopra il sole che ride nel manifesto.
Ve lo dico con la morte nel cuore, ma Fausto non si schiera, nella contesa. Le accuse striscianti post disastro elettorale, di essersi ingessato nella poltrona istituzionale di presidente della Camera, lo hanno esacerbato. Un po’ come Prodi, Fausto pensa che chiunque indicasse, nella gara tra Ferrero e Vendola, diventerebbe per quel solo motivo il candidato che perde. Ma mettiamola così: i 100 milioni in ballo sono una grande ipoteca per continuare a fare politica, per detenerne in mano le chiavi e impedirlo a chiunque ti stia sulle scatole, a sinistra del Pd.
Di conseguenza, la lotta per il tesoretto dell’ex Comandante Fausto spiega perché volino i coltelli, nelle assemblee dei 2.500 circoli in corso per scegliere i delegati che a loro volta nomineranno i partecipanti al Congresso. Quelle al Nord si sono per la maggior parte già tenute, e Ferrero è in vantaggio con oltre il 50%. Quelle al centrosud sono ancora aperte, e fioccano le accuse. Non a Niki Vendola, troppo poeta per poter essere sospettato di brogli.
Ma diciamo che nella Calabria di Francesco Forgione e nella Sicilia di Franco Fava pare che il tesseramento abbia subito improvvisamente impennate assai sospette, con vendoliani che si manifestano dal nulla per iscriversi e votare. Col risultato che Rifondazione, poco più di 90mila iscritti prima del disastro elettorale, potrebbe arrivare al Congresso successivo alla scomparsa dal Parlamento con il 40% di iscritti nuovi in più. Molti lo dicono a bassa voce, del resto. Vendola sarebbe il leader della Sinistra Europea Unita in vista di europee e altre elezioni, ma il segretario intanto del partito lo farebbe Claudio Fava, che si è assunto il ruolo di carrista per i delegati al congresso.
Una cosa è sicura. Sergio Boccadutri, il 34enne palermitano tesoriere scelto personalmente da Bertinotti, ha lavorato come amministratori di società private si sognano. Passare a miglior vita – sia pur politica – lasciando a chi viene dopo l’imbarazzo di come spendere i soldi, una volta era vezzo da borghesi. Oggi, lo fanno solo i comunisti.