Fausto Bertinotti scende nell’arena di Rifondazione. Davanti al comitato politico del Prc, ieri mattina, il segretario ha aperto il percorso che porterà al congresso di marzo, il sesto in tredici anni di storia del partito, il congresso «dell’alternativa programmatica di governo». «Il centro del dibattito – ammonisce però Bertinotti – non è la questione del governo. Quello è un passaggio da valutare di volta in volta, che va visto in funzione della costruzione dell’alternativa di società». Ma se non si pongono la questione del governo, dice ancora il segretario, Rifondazione e i movimenti sono condannati alla «marginalità». La costruzione dell’«alternativa programmatica di governo» per Bertinotti va di pari passo con «la crescita della Sinistra europea» e con «il processo costituente della sinistra di alternativa». Il tema è quello della proposta lanciata da Alberto Asor Rosa sul manifesto, per l’apertura di un confronto nella sinistra della nascente Gad, aperto ai movimenti. E Bertinotti, che l’ha già raccolta e rilanciata ma intanto ribadisce l’intenzione di candidarsi alle primarie, affronta il delicato dibattito interno forte del sostegno di un padre nobile come Pietro Ingrao. Intervistato dal direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, Ingrao dichiara che «Rifondazione è decisiva per l’unità delle sinistre», invitandola però ad «uscire dal suo guscio» perché «altrimenti l’invito proposto da Asor Rosa rischia di finire in una fragile ammucchiata».
Così Bertinotti può sfidare le diverse anime del Prc. O con me o contro di me, questo il messaggio alle correnti che, sulla carta, se sommate oggi rappresentano il 45 per cento degli organi dirigenti. «Chiarezza e partecipazione – sostiene – sono i due punti fondamentali. Si sono accumulati troppi elementi di conflittualità e tensione interni al partito. Il punto di diversità che dovremmo proporre è il seguente: la rappresentanza di una posizione politica è legata ad una proposta compiuta, ovvero, senza una proposta complessiva non c’è rappresentanza organizzata». Sarà, come annunciato, un concorso per mozioni, su documenti non emendabili. Non sarà dunque possibile, a differenza del 2002, raccogliere voti su un semplice emendamento. E’ un tentativo di «stanare» l’area dell’Ernesto di Claudio Grassi e Alberto Burgio, la più legata alla tradizione del vecchio Pci, che condivide la svolta «alleantista» ma ne contesta i tempi, le modalità e i percorsi. Allo scorso congresso Grassi e compagni ottennero il 26 per cento dei voti sui loro emendamenti. «Domani (oggi, ndr) – dice Grassi – torneremo a chiedere un congresso su documenti emendabili, un congresso più unitario». Ma oggi si vota, la maggioranza non cederà e Grassi dovrà uscire allo scoperto, perché le divergenze sembrano profonde: «Si è passati – sottolinea il dirigente dell’area dell’Ernesto – da un estremo all’altro: prima lo sbilanciamento verso i movimenti, che noi criticavamo, e ora si dice `o si va al governo o si muore’. Ma il programma qual è? Perché diciamo che Prodi va bene? Parlare di alleanze prima che di programmi è una torsione significativa, forse più rischiosa di quella del `98», la decisione di far cadere Prodi.
Due documenti alternativi ci saranno di sicuro, quelli delle correnti trotzkiste. Franco Grisolia l’ha confermato ieri per la storica minoranza di sinistra che guida con Marco Ferrando (13 per cento). «Abbiamo – dice Grisolia – un’obiezione di fondo alla partecipazione al governo, non una preclusione ideologica ma una posizione che nasce dall’esperienza storica del movimento operaio, che ha realizzato le sue conquiste dall’opposizione, non dal governo. E la presenza di un centro liberale la rende ancor più negativa». Per l’area Erre, che dal `98 in poi ha fatto parte della maggioranza di Bertinotti (7 per cento dei posti in direzione) ma ora la lascia, oggi parlerà Salvatore Cannavò, vicedirettore di Liberazione: «Sarà – dice Cannavò – il congresso che delibererà su un accordo di governo con l’Ulivo di Prodi, Fassino e Rutelli e a nostro avviso non ci sono le condizioni. Noi proporremo una linea di lavoro nei movimenti, opposizione sociale alla guerra e al neoliberismo e quindi alle destre. Per battere Berlusconi basta un accordo elettorale, a precise condizioni».