La scure di Bush sulla stampa Usa

Arresto per la Miller, del New York times: non ha rivelato ai giudici la sua fonte all’interno della Cia

Judith Miller va in prigione. Alla fine è rimasta solo lei, la giornalista del New York Times, a rifiutarsi di rivelare la propria fonte e il giudice federale Thomas Hogan ha deciso che i quattro mesi di cella previsti «creano la possibilità» che lei decida finalmente di parlare. Poco prima di presentarsi di fronte al giudice il suo co-imputato, il giornalista del settimanale Time Matt Cooper, aveva fatto sapere che avrebbe parlato perché era stata la sua stessa fonte a autorizzarlo (giorni fa la direzione di Time aveva deciso comunque di consegnare al giudice gli appunti di Cooper, scavalcandolo). Così questa indagine, nata per scoprire chi alla Casa bianca aveva rivelato (commettendo un reato punito dal codice penale) che una signora di nome Valerie Plame era un’agente della Cia – ha finito per assumere lo sviluppo più paradossale che si potesse immaginare: libero Robert Novak, il giornalista che per primo ha ricevuto la «soffiata» e l’ha pubblicata; libero Cooper, che ne ha parlato in un articolo pochi giorni dopo; libero naturalmente l’autore della soffiata medesima che non è stato individuato (anche se da giorni un po’ tutti fanno acrobazie lessicali per dire e non dire che si tratta di Karl Rove, il consigliere senza il quale George Bush non decide neanche se bere o no un caffè), l’unica a pagare almeno per ora è Judith Miller che sulla vicenda ha indagato ma alla fine non ha scritto nulla. Il fatto già grave perché investe direttamente la capacità-libertà di fare giornalismo in questo Paese – si colora anche di questa assurdità.

In previsione della decisione del giudice, la Miller aveva chiesto che le fossero concessi gli arresti domiciliari o in subordine che fosse rinchiusa nella prigione di Dunbury, nel Connecticut (la stessa dove fu trasferita Silvia Baraldini quando le autorità americane decisero di mostrasi un po’più «umane» nei suoi confronti), ma il giudice ha detto no ad ambedue le richieste, spedendola invece in una prigione di Washington. Ad esortare il giudice a negare la richiesta era stato lo stesso accusatore, Patrick Fitzgerald, secondo il quale «una vacanza forzata in una casa confortevole» non sarebbe stata un’adeguata «forma di coercizione». Del resto, aveva aggiunto Fitzgerald, «una che sa cavarsela nel deserto in guerra è certamente attrezzata più della persone normali ad affrontare i rigori del carcere». L’accusatore si riferiva al fatto che la Miller per un certo tempo ha «coperto» la guerra in Iraq, il che obbliga a riferire l’esistenza di un altro paradosso: quello che a un certo punto ha visto la Miller e il suo giornale in disaccordo prorpio sull’Iraq. Lei infatti aveva avuto una specie di filo diretto con Ahmed Chalabi (quello che aveva garantito a Washington un’accoglienza festante alle truppe americane in Iraq) e a causa di ciò finirono per passare sul New York Times alcune delle molte bugie raccontate per giustificare la guerra, tanto che il giornale a un certo punto pubblicò un editoriale di scuse.

Questo naturalmente non ha impedito al New York Times di sostenere la propria giornalista in questa circostanza. «Ci sono momenti – ha detto Arthur Sulzberger Jr., il presidente del consiglio di amministrazione del quotidiano – in cui il bene più grande della nostra democrazia richiede un atto di coscenza. Judy ha deciso di onorare l’impegno alla confidenzialità preso con le sue fonti perché crede, come noi crediamo, che il libero flusso delle informazioni è fondamentale per avere una cittadinanza informata». La scaturigine della vicenda sta sempre lì, nelle bugie della Casa bianca sulla guerra. Una di esse fu quella che Saddam Hussein aveva cercato uranio arricchito nel Niger. Un ambasciatore, Robert Wilson, che era andato a indagare proprio nel Niger, sbugiardò quelle affermazioni e gli uomini di Bush, per vendicarsi, rivelarono che sua moglie, appunto Valerie Plame, era un’agente della Cia. Il prosecutor Patrick Fitzerald ha indagato per oltre un anno per scoprire chi esattamente aveva fatto quella rivelazione, ma per ora è riuscito solo a sbattere in galera una cronista che su questa storia non ha scritto neanche una riga.