La scuola modello è indebitata fin sopra il collo

La San Domenico Savio è una delle migliori sedi scolastiche di Secondigliano, il quartiere alla periferia nord diNapoli a poca distanza dalle Vele, i palazzoni-dormitorio di edilizia popolare post-terremoto dove sono finiti tutti gli indigenti, i disoccupati, i senza tetto metropolitani; oggi ancora indiscusso regno della camorra. Secondigliano e Scampìa: le banlieues dove, nell’inverno del 2004, la faida tra i Di Lauro e gli «scissionisti» per l’accaparramento delle piazze di spaccio ha provocato oltre 50 morti ammazzati, e dove lo scorso 21 marzo si è ucciso ancora. «Forse in Italia credono che siamo tutti delinquenti – spiega una madre– ma questa è una delle più belle scuole di Napoli. Mia figlia conosce pure il latino». Questo perché gli insegnanti, supplenti o di ruolo, che accettano di lavorare da queste parti si impegnano umanamente oltre che professionalmente, ci mettono sensibilità e cura, promuovono lo spirito di condivisione dei saperi, sostengono di tasca propria attività laboratoriali, comprendono che i bambini devono essere tenuti lontano dalla strada, devono imparare amando. Per questo all’entrata dell’istituto campeggia il logo della scuola, dipinto a mano da alunni e maestri: «Doceo diligens diligo docens, disco augens augeo discens» (insegno amando amo insegnando, cresco imparando imparo crescendo). E’ in latino, fortemente voluto nell’istituto, insegnato a costo di sacrifici prima con i quindicisti – gli insegnanti che avevano solo 15 ore settimanali, ora spariti con il post-Moratti – e adesso inserito nel bilinguismo. I ragazzini, infatti, non devono credere che il loro futuro sia proseguire gli studi solo in istituti tecnici oppure finire direttamente nel mondo del lavoro a fare il garzone di un salumiere, il pizzaiolo, il meccanico subito dopo le medie. Alla Savio – un istituto comprensivo, tre classi di materna, cinque di elementari e 25 di medie per un totale di circa 700 alunni – i bambini sono
istruiti tutti per accedere ai licei «borghesi»: poi è chiaro che sceglieranno da soli, compatibilmente con le esigenze familiari.
Il Comune pignora se stesso Nell’ufficio del preside Paolo Vascello, la foto di San Domenico Savio sostituisce il crocifisso. Si tratta dell’unico santo bambino, morto a 15 anni, beatificato e, dopo la trafila, impresso
nei santini che regalano in chiesa. «Non so come sia potuto diventare
santo a quell’età», sorride il preside, ma poi si trattiene dall’esprimere ulteriori commenti. Mentre parla si gusta una grossa fetta di torta caprese, cioccolata e nocciole, portata fresca fresca dagli alunni, che quasi in pellegrinaggio arrivano con letterine, dolciumi di tutti i generi e lavoretti costruiti per Pasqua. «Qui siamo indebitati per 50mila euro con il comune di Napoli» – dice, improvvisamente serio. «E’ la cifra dell’accumulo di tasse dei rifiuti non versate. Con la privatizzazione dei servizi di riscossione, attualmente in mano alla società Gest Line, se volessero saldare i conti potrebbero prelevare quel poco che abbiamo in banca o venir qui a pignorare i nostri beni.
E sarebbe il paradosso dei paradossi: il comune che si rivale di una scuola comunale». Alla Savio non hanno mai navigato nell’oro. Il teatro, la biblioteca, i laboratori di ceramica, di informatica, di infomusica, di educazione alimentare, la sala proiezioni li han messi su a suon di volontarismo, risparmi e lotterie. Quest’ultima voce si riferisce agli innumerevoli progetti scolastici presentati, chili di carta con finalità,
rendiconti e preventivi per recuperare fondi e che oggi hanno sigle curiose come Por e Pon (Programmi operativi regionali e nazionali per l’utilizzo dei Fondi strutturali europei).
«Ci arrangiamo come possiamo – conferma Paola Caravelli, professoressa di lettere – se non ci fossimo autogestiti e industriati a presentare progetti, a restare in classe oltre l’orario lavorativo, le attività laboratoriali non sarebbero mai partite». Esperimenti pedagogici fondamentali in questa parte di città, dove per i ragazzini studiare è troppo spesso considerato una perdita di tempo.
«Ora, però, con l’autonomia scolastica è tutto diverso – spiega ancora Vascello – noi siamo dei manager, abbiamo dei fondi dimezzati e dobbiamo fare quadrare i conti. Non abbiamo più il coordinamento dell’ufficio scolastico regionale e questo se da un lato limita gli sprechi dall’altro ci penalizza. Abbiamo tre rimesse quadrimestrali, alla fine dell’anno i soldi o li hai o non li hai».Ma se si sono limitati i passaggi di mano, lo stesso non è accaduto con la nascita di situazioni a dir poco ambigue. Por, Pon e presidi-manager E’ avvenuto, per esempio, che per i
Por e i Pon sia arrivata una voce di bilancio dedicata all’importo da versare al preside per il suo impegno nel portare avanti quel dato progetto, in altre parole viene considerato un manager.
«Personalmente non ho mai accettato una lira – mette le mani avanti – li ho versati direttamente all’istituto. Qui tutti lo possono testimoniare, ma funziona così: è il modello scuola-azienda». Che Paolo Vascello non abbia mai preso per sé è credibile, è un preside della vecchia guardia, a giugno andrà in pensione e gli insegnanti già lo rimpiangono.
Ha, infatti, sempre sostenuto il valore del lavoro, pagato i supplenti a piè
di lista, vale a dire alla fine del mese, non ha mai sprecato i fondi a disposizione e nonostante l’autonomia finanziaria ha predisposto tutto affinché i precari abbiano quanto loro spetta. Ma da settembre chi lo sostituirà potrebbe anche non pagare.
Certo il supplente avrà il diritto di rivolgersi al tribunale e ottenere quanto gli spetta, ma con quanti mesi di ritardo? Perché sono questi due i punti dolenti della riforma finanziaria iniziata con Moratti e proseguita con Fioroni: l’accumulo dei debiti e il rimborso dei precari.
Al momento i bambini della Savio non sembrano allarmati. Non ne hanno la più pallida idea. Con le insegnanti cucinano nel laboratorio di educazione alimentare, colorano e infornano la creta, cantano e suonano nelle ore di musica d’insieme. Urlano e chiacchierano tra loro mentre va in onda un documentario dedicato proprio al loro quartiere, giocano nel cortile dove è in costruzione un altro plesso per la materna, una battaglia
iniziata nel 2003. Un braccio di ferro con il comune per ottenere nuovi spazi e concentrare tutte le classi in un unico complesso. Ultimomatch a novembre, per mancanza di soldi i lavori si sono bloccati nuovamente e sono ripartiti solo a fine marzo.
Nella mensa i più piccoli iniziano il pranzo, le pareti sono tappezzate di
piatti con le più svariate pietanze. Anche questo è il frutto dei lavoretti
pomeridiani. «Tra poco potrebbe non essere più così – conferma Francesco Amodio dei Cobas scuola – questa scuola è l’unica della zona ad aver mantenuto i tre giorni di tempo continuato, nonostante la riforma Moratti. Ora con Fioroni potrebbe andare tutto in fumo. Se non ci sono soldi non ci sono attività supplementari».
Tra i banchi fai-da-te Eppure Amodio è stato uno degli insegnanti che hanno fatto collette, ha costruito da solo i banchi per il laboratorio di informatica, ha giocato insieme ai bambini componendo uno splendido murale in ceramica che spicca nel corridoio principale della Savio. Ma con i fondi dimezzati è chiaro che per quanto i professori possano metter mano alle proprie tasche e dar fondo alla voglia di costruire una scuola diversa, non possono autofinanziare metà delle attività.
E come se non bastasse in questo gioiello di istituto, punto di riferimento di un intero quartiere, anche la biblioteca è a rischio. In due trance, tra il giugno 2007 e il 2008, gli insegnanti attualmente inseriti con l’articolo 35, 4.700 a livello nazionale – che cioè non sono di ruolo non potendo insegnare per gravi motivi di salute – saranno messi in mobilità oppure destinati all’amministrazione.
La bibliotecaria della Savio è la professoressa Anna Idolo, ha subito un intervento alle corde vocali, ma è rimasta attivissima. Negli anni è riuscita a rifornire gli scaffali con i più svariati titoli, favole, romanzi, opere, poesie. «Mi piange il cuore – dice – non hanno la possibilità di fare sostituzioni, ho messo l’anima in questi scaffali. Eppure potrei continuare qui, sono ancora giovane, oltre a curare la biblioteca potrei occuparmi dei rapporti con l’esterno, della dispersione scolastica, dei progetti per trovare fondi». Dall’anno prossimo sarà messa alla porta e alla scuola non resterà altro da fare che chiudere l’esperienza: assumere una bibliotecaria è fuori discussione.
Altro cruccio della professoressa, non essere rientrati nei progetti «Scuole Aperte», un’iniziativa regionale che stanzia fondi alle scuole a rischio permantenere gli istituti aperti il pomeriggio con l’aiuto di associazioni e cooperative. «Cioè quello che serve nel quartiere» – rileva Amodio. «Erano 30 le scuole aventi diritto, la Savio e un altro istituto di Secondigliano sono arrivate in classifica al 31 e 32esimo posto». Il preside scuote la testa: «Una gestione del concorso veramente poco chiara, hanno lasciato fuori proprio questa periferia».

(2 – continua)