Il governo si prepara ad una finanziaria di tagli. Qual è il tuo giudizio?
Credo che dovremmo ragionare su paradigmi diversi da quelli del governo. L’idea di fondo che aveva ispirato il programma dell’Unione è che non dobbiamo basarci solo su criteri rigidamente monetaristi, cioè sull’idea che prima viene il risanamento dei conti e l’accumulo di avanzo primario e solo dopo una politica di investimenti. L’idea dei “due tempi”, chiaramente smentita dal programma, trascura l’impatto che una tale cura da cavallo avrebbe sulla parte più debole della popolazione, in primis sui lavoratori. Si tratta di un’impostazione da rifiutare, politicamente e culturalmente, per un governo che abbia realmente a cuore la condizione sociale del paese. Che poi si pensi a misure di carattere strutturale che peggiorano la già fragile condizione previdenziale dei lavoratori è una prospettiva ancor più sciagurata. Fassino ha parlato di uno “shock” per il paese. Ma con queste misure la scossa rischia di essere un “elettroshock” a 220 volt, che può abbattere il malato che si vorrebbe guarire. Il pericolo è ancor più preoccupante se si pensa che è l’intero programma dell’Unione che viene smentito: tutela delle fasce deboli, riorganizzazione dello stato sociale, disinquinamento del mercato del lavoro dalle tossine berlusconiane, lotta alla precarizzazione. Elementi che sembrano essere quasi totalmente espulsi dall’agenda governativa. Eppure, dopo la prima levata di scudi dei sindacati e dell’ala sinistra dell’Unione Prodi ha lasciato intendere che sulle pensioni potrebbe esserci un passo indietro. E la finanziaria, prevista inizialmente da 35 miliardi e poi corretta a 30, potrebbe scendere a 27.
L’ipotesi in campo è quella di uno stralcio dalla finanziaria delle misure maggiormente inaccettabili: ma questo determinerebbe le condizioni di una tregua armata. Nessuna risposta, infatti, proviene sul merito, sull’idea, che mi lascia esterrefatto, che si possa immaginare un ulteriore peggioramento del trattamento previdenziale in particolare per le nuove generazioni. Rimangono in campo gli altri tre capitoli di tagli: pubblico impiego, sanità, enti locali.
Pensiamo, ad esempio, al ritorno dei ticket sui ricoveri ospedalieri, che si afferma di voler introdurre, ma in modo selettivo. Noi diciamo, al contrario, che ci sono molti altri modi efficaci per operare in modo selettivo senza però ledere il carattere universalistico di diritti che riteniamo essere indivisibili. Il problema, poi, sarà di vedere come si articoleranno le singole voci della manovra: ma non si capisce come mai non si ritenga opportuno che il risanamento dei conti del paese possa svilupparsi progressivamente, in coerenza coi risultati ottenuti nella lotta all’evasione. Le forze dell’Unione che si apprestano a dar vita al Partito Democratico punterebbero il dito sull’Ue, sui parametri di Maastricht. Eppure l’Europa è in profonda crisi da un punto di vista politico. Insomma, quei parametri è possibile rimetterli in discussione?
Più l’Europa perde passi nell’individuazione di un processo di unificazione a caratura sociale, più gli spiriti animali del mercato finiscono per diventare la sola bussola di orientamento delle sue politiche. Spesso in politica si nascondono dietro rapporti tra cose, fra entità economiche che si presumono oggettive, rapporti sociali, cioè politici. Invece non c’è nulla che impedisca all’Italia di rinegoziare le condizioni di rientro del debito nel rispetto di un progetto di profondo rinnovamento sociale e politico del paese. Nell’Unione, dunque, le idee sembrano poco chiare. Tra l’ala moderata e i sindacati potrebbe aprirsi una frattura profonda.
Nella politica italiana noi rischiamo di vivere quello che Gramsci avrebbe definito una rivoluzione passiva. Nel senso che la sinistra, per ottenere da parte delle classi dominati e dei poteri forti l’autorizzazione a governare, deve assumerne le istanze fondamentali, con una metamorfosi politica trasformista che rischia però di rivelarsi tragicamente autolesionista. Non si parla ancora di una profonda riforma della legislazione sul lavoro. Per il ministro Damiano la precarietà si riduce con incentivi alle imprese, ma senza toccare l’impianto fondamentale della legge 30. Quale ruolo può assumere il sindacato per spostare in avanti la politica sul lavoro del governo?
Su questo punto il sindacato ha un grande responsabilità, in primis la Cgil che su questo punto determinante ha da poco fatto un congresso. Sembra chiaro, infatti, che il governo non cambierà l’orientamento politico in materia di disciplina del lavoro se non sarà sottoposto ad un pressing molto stretto che non si potrà gestire solo attraverso la normale diplomazia sindacale. Occorrerà, come sempre è avvenuto, la mobilitazione dei lavoratori. Guai se prendesse corpo l’idea malsana che non si deve disturbare il manovratore: le conseguenze minaccerebbero l’esistenza stessa del governo. Nulla, infatti, è più pericolo per questo governo che un legame debole, indeterminato, col suo programma e con chi lo ha sostenuto.