La risposta degli islamisti: in piazza a oltranza, come gli hezbollah

Hamas non ci sta e fa sapere che si opporrà alla decisione di Abu Mazen di indire elezioni parlamentari anticipate per risolvere la crisi politica in cui sono sprofondati i Territori occupati. Forte dell’ampio successo elettorale dello scorso gennaio, il movimento islamico è deciso a far valere il suo controllo del Parlamento (2/3 dei seggi) e l’ampio sostegno popolare di cui gode tra i palestinesi, in particolare a Gaza. Le prossime settimane saranno importanti per capire quali strade Hamas seguirà per far fallire il progetto di Abu Mazen. Una delle più probabili è la convocazione, senza sosta, di manifestazioni popolari, sul modello della protesta che Hezbollah sta attuando da giorni a Beirut per provocare la caduta del governo Siniora. Ne abbiamo parlato con il consigliere del premier Ismail Haniyeh, Ahmed Yusef.
La vostra condanna della convocazione di elezioni anticipate è netta.
La strada che ha imboccato Abu Mazen è ingiustificata e nuoce agli interessi palestinesi, perché costituisce un «appello alla guerra civile» che dobbiamo evitare ad ogni costo.
Quale sarà la vostra prima mossa?
Organizzeremo numerose manifestazioni per provare al presidente che noi siamo in maggioranza e che il suo appello per le elezioni anticipate non è accettabile. Ci saranno manifestazioni in tutte le città per respingere la sua decisione. La nostra intenzione è di usare tutti i mezzi pacifici per fermare questa iniziativa illegale.
Il presidente ha detto che i suoi poteri gli consentono di sciogliere il governo di Hamas e il parlamento.
Questa affermazione è vera solo in parte. Leggendo lo Statuto (dell’Autorità nazionale palestinese) si comprende che il presidente ha la facoltà di sostituire il governo ma non di mandare a casa l’intera assemblea parlamentare. Inoltre anche la formazione di un nuovo governo non può avvenire sulla base solo della valutazione del presidente, ma richiede anche quella del parlamento che esprime la volontà della maggioranza uscita dal voto.
Abu Mazen vi accusa di aver provocato la crisi economica e politica che strangola Cisgiordania e Gaza perché vi ostinate a respingere le risoluzioni internazionali e gli accordi siglati in passato con Israele.
Non è vero. Questo governo non ha mai potuto esercitare la sua funzione, perché sin dal giorno del suo insediamento è stato tenuto in isolamento totale e privato delle risorse necessarie per amministrare il popolo palestinese. Il governo di Hamas inoltre non ha rifiutato il dialogo, al contrario ha lanciato subito segnali di disponibilità in varie direzioni e ha detto anche di essere disposto aprire un canale di comunicazione indiretto con Israele. La risposta a queste aperture sono state nuove chiusure internazionali e nuove condizioni poste dal Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu).
Vi chiedono di riconoscere l’esistenza di Israele e gli accordi passati con lo Stato ebraico. Ma il premier Haniyeh, ancora qualche giorno fa, ha escluso categoricamente questa possibilità.
Noi partiamo dalla constatazione del fallimento di anni di trattative e aperture inutili nei confronti d’Israele. Pensiamo che la situazione richieda un approccio diverso. Il piano arabo (del 2002) è una base di partenza interessante per arrivare ad una tregua – di 10-20 anni – tra i palestinesi e israeliani. In questo lasso di tempo i due popoli potranno vivere in uno status di non belligeranza e se le cose andranno bene, con uno spirito diverso, si potrà pensare ad un passo successivo. Israele e il Quartetto rifiutano questa opzione che invece in Occidente non pochi trovano interessante, come ho potuto riscontrare durante un mio recente viaggio in Europa. La tregua è una possibilità valida e deve essere presa in considerazione.