La riserva di caccia di Silvio Berlusconi

Renato Mannheimer è tra i tanti che in questi giorni hanno smentito il «sorpasso» sbandierato a destra e a manca da Silvio Berlusconi. Il distacco è sempre attorno ai 5 punti, a vantaggio dell’Unione, ripete il sondaggista milanese. Ma, cauto come sua abitudine, non esclude nulla e precisa che semplicemente «dagli ultimi dati in mio possesso, ancora non mi risulta». E proprio perché quell’«ancora» sta cominciando a far tremare le vene ai polsi di leader o semplici elettori del centrosinistra, val la pena di chiedersi dove mai il funesto cavaliere di Arcore potrebbe raccogliere i tanti voti che gli mancano. A costo di trovare risposte poco confortanti, se è vero, come racconta Vittorio Mete nel suo saggio su «Antipartitismo e antipartitici in Italia», che la stagione dei furori, l’antipolitica degli anni `90 non è affatto morta. Anzi, oggi ben 8 italiani su 10 si dichiarano senza paura stufi, se non disgustati, dai partiti. Pubblicato sul terzo numero di Polena, la rivista torinese diretta da Luca Ricolfi, il saggio del giovane ricercatore fiorentino parte dalla distinzione classica tra antipartitismo «d’elite» o invece «dal basso». I due corni che per l’appunto Silvio Berlusconi, e ancor prima di lui Umberto Bossi, riuscirono a saldare decretando così la fine della prima repubblica. Oggi quei sentimenti non paiono affatto sopiti, se mai si sono evoluti. In peggio, visto che tra il 1990 e il 2003 sono calate la noia o l’indifferenza (scendendo dal 32,2 al 25,8 per cento), ma solo per dar voce alla rabbia o al disgusto (che dal 24,6 del ’90 balzano al 36,2 del 2003). Né è mutato il profilo, anche politico, di chi vive di questi sentimenti.

Se i «pro partito» infatti sono ancora e sempre i laureati, chi ha tra i 45 e i 54 anni, la classe media impiegatizia (ovvero il bacino di voti sicuri di Ds e Unione), gli «antipartito» allignano soprattutto nel Mezzogiorno, tra gli operai e le casalinghe. I più convinti tra loro nella primavera di 5 anni fa, a un mese dal voto (le elaborazioni sono su fonte Itanes 2001), dicevano di voler annullare la scheda o di non sapere chi scegliere. Ma gli altri, alla domanda sulle preferenze politiche, avevano ben pochi dubbi. Forza Italia e Lega sono il loro riferimento naturale. Anche se, a ben vedere, corrispondono a due scelte molto distanti tra loro.

Quando si guarda al sentimento antipartititico «dal basso», bisogna infatti avere ben chiara la differenza tra chi lo esprime in modo «reattivo» e chi invece si limita a viverlo come retroterra «culturale». I primi vivono anche a sinistra (basta pensare ai girotondi o a Italia dei valori), i secondi esprimono essenzialmente apatia, alienazione dalla vita politica o anche dal voto. La distinzione, messa a punto da Mariano Torcal e da altri ricercatori (che nel 2002 hanno pubblicato uno studio comparato sull’antipartitismo in Spagna, Portogallo, Grecia e Italia), nelle tabelle elaborate da Mete mostra come anche oggi nel nostro paese gli apatici siano in netta maggioranza sui reattivi. Una valanga di voti e non voti, difficili da conquistare e soprattutto da mantenere. E che, per fortuna, crea molti guai proprio a Silvio Berlusconi. Perché in effetti mentre la Lega si accaparra volentieri buona parte degli ormai rabbiosi antipartitici «reattivi», Forza Italia ha fin qui navigato, sola o accanto alle schede nulle e bianche, nel vasto e insidioso mare degli antipartitici «culturali».

Un problema che il cavaliere azzurro conosce molto bene. Fin dall’inizio della sua ossessiva invasione mediatica, Berlusconi ha infatti battuto sui tasti dell’antipolitica. Persino la vicenda Unipol è stata piegata a simbolo dell’occupazione dei partiti (cattivi) della società o le banche (buone). Così come, soprattutto nelle trasmissioni più popolari o light, come da Costanzo e Bonolis, ha raccontato storie strappalacrime (lui bambino, sulla panchina a mangiare pane e mortadella) tutte tese a dimostrare che in fondo lui è uno come tanti, uno come noi. «Io sono il nuovo in politica» strillava come un tempo solo qualche giorno fa. Nella speranza di cancellare dalla testa dei suoi antichi fan gli ormai dodici anni sulla scena politica e i cinque passati a far danno a palazzo Chigi.