La ripresa aiuta uno sviluppo equo

Francesco Giro non è un raffinato. Ieri il rancoroso deputato di Forza Italia, consigliere politico di Bondi ha dichiarato: «per Prodi vale sempre il fattore ‘C’». Dove la ‘C’, graziosamente, sta per «culo»: non c’è dubbio che questo governo non abbia eccessivi meriti per quanto riguarda la crescita del pil nel secondo trimestre. Però Giro, prima di esternare, avrebbe potuto dare un’occhiata ai dati Istat: avrebbe scoperto che il quinquennio governato dal suo idolo è stato il peggiore periodo economico del dopoguerra, con una crescita vicina allo zero. Eppure i governi di centro sinistra non avevano lasciato un brutta eredità: nel 2001 il pil cresceva al 2%.
Non c’è da essere eccessivamente ottimisti per l’1,5% del tendenziale del secondo trimestre: l’economia italiana era precipitata così in basso che una ripresa tecnica era inevitabile. La ripresa è arrivata: purtroppo l’economia italiana seguita a essere molto fragile. L’Ice ci ha detto che sta perdendo quote nel commercio internazionale in particolare nel settore dell’alta tecnologia; i consumi ristagnano; l’occupazione stenta. Anzi, come ci ha spiegato tre giorni fa Mediobanca, le grandi imprese, il cuore del sistema industriale e dei servizi, seguitano a distruggere posti di lavoro. Ma neppure questo serve ad accrescere la produttività. Se aggiungiamo che il Mezzogiorno – i dati in questo caso sono dello Svimez – che perde altro terreno, e che la distribuzione dei redditi peggiora, il cerchio si chiude.
Ha ragione Padoa Schioppa quando invita a non confondere la ripresa con la crescita. Però gestire una politica economica di rilancio non partendo da zero, ma sfruttando una ripresa congiunturale è più semplice. La prima fase del governo Berlusconi (a partire dai cento giorni) fu caratterizzata da una politica di classe esasperata: il cavaliere pagò pegno ai suoi elettori, anche se era chiaro che l’impostazione liberista (limitata visto che le corporazioni non le ha toccate) non avrebbe contribuito a consolidare la fase espansiva, ma solo a peggiorare la distribuzione dei redditi. L’11 settembre colse di sorpresa l’economia italiana che, come quella Usa, avrebbe avuto bisogno di un forte impatto di spesa pubblica e di un deficit spending mirato che non fu possibile visto che il deficit era stato già interamente utilizzato per favorire gli amici.
La ripresa allarga i margini della politica economica che si realizzerà con la finanziaria. La crescita del pil migliora sia il rapporto del deficit con il prodotto che quello del debito. Forse sarà possibile una politica meno pesante di quella ipotizzata con il Dpef che prevede un rientro nei parametri di Maastricht già nel 2007:. Farlo sarebbe un errore. Partire con una manovra fortemente restrittiva è la peggiore scelta sociale che potrebbe fare il governo: l’illusione che solo una politica economica austera che penalizza la spesa sociale sia possibile rilanciare la crescita rischia – anche per il contesto internazionale di stagnazione che si profila – di essere pagata a caro prezzo. Politicamente e economicamente.