La Provincia è con i rifugiati di via Lecco

Qui siamo in piazza Duomo. A due passi da Palazzo Marino. Da queste parti, a quest’ora, sono le undici di sera, deve riposare anche il cardinale Tettamanzi. Cinque minuti a piedi e c’è la prefettura: a Milano, avevano detto, è arrivato il nuovo prefetto. Gian Valerio Lombardi, un decisionista, che ormai non risponde più nemmeno al telefonino. Insomma, siamo nel cuore della città. E qui per terra, immobili, con una determinazione che fa paura, le mani ghiacciate come punture di spilli, ci sono centinaia di rifugiati politici. Sono le persone che dallo scorso 15 novembre hanno occupato uno stabile di via Lecco. Li hanno cacciati. E per la seconda notte sono disposti a dormire all’aperto. In una situazione come questa dosare le parole è quasi impossibile, «vergogna» è sulla bocca di tutti e allora va bene: il comune di Milano si deve vergognare. E’ colpa sua se ci sono bambini di cinque anni che mangiano qualcosa di caldo la sera tardi solo perché qualche signora li accompagna nell’unico bar aperto, «dare da mangiare a questi bambini è bellissimo, mi risveglia l’istinto materno». Don Colmegna, che per tutta la giornata ha cercato di sbloccare la situazione (insieme ai rappresentanti della Provincia di Milano, del sindacato e di alcune associazioni) ha anche contattato il Tribunale dei minori per comunicare che lui in una notte così gelida non si sarebbe assunto la responsabilità sulla salute dei più piccoli. Alla fine, dopo aver inscenato un corteo, gli stranieri sono stati fatti entrare a Palazzo Isimbardi, sede dell’amministrazione provinciale, una soluzione di emergenza che questa mattina dovrebbe costringere il padrone di casa, il presidente Penati, a fare la voce grossa con il prefetto di Milano. Centinaia di rifugiati politici che dormono nella sala del consiglio provinciale! Questo è più di un problema di ordine pubblico, è una vera e propria emergenza umanitaria. E in qualche modo il prefetto è complice, visto che ieri non ha avuto il coraggio di assumersi la responsabilità di contraddire gli assessori di Palazzo Marino che non hanno voluto accettare la ragionevole proposta della Provincia di Milano: una scuola.

In muratura, perfettamente agibile, con bagni, bar, atrio, palestra e riscaldamento già in funzione. I rifugiati avrebbero potuto trasferirsi fin da subito nell’istituto di via Saponaro 40, alla periferia sud di Milano. Sembra impossibile, ma questa volta gli amministratori della giunta Albertini hanno dato il peggio di sé. Hanno detto no alla proposta del presidente Filippo Penati – finalmente convinto – che insieme ai locali (2450 metri quadrati) aveva garantito anche un Comitato di associazioni per assicurare la gestione della struttura. No, perché gli assessori di Albertini continuano a voler stipare i rifugiati in container da terremotati in mezzo alla neve, come se fossero arrivati dall’altrove appena due giorni fa. I rappresentanti dei milanesi (e chissà loro dove sono, i milanesi…) ne fanno una questione di principio, un capriccio vigliacco, per dimostrare che il comune di Milano ha una parola sola, mentre trecento persone stanno gelando e per tutta la giornata di ieri nessuno si è degnato di preparare loro nemmeno un piatto caldo quando erano nei locali della protezione civile in attesa che la situazione si sbloccasse. «Non abbiamo previsto nessun pasto caldo perché dovevano accettare le nostre destinazioni», ha candidamente confessato l’assessore alla sicurezza Manca (è un cognome). Un atteggiamento che, dopo l’ennesima trattativa andata in fumo, verso sera ha fatto infuriare gli stranieri che hanno abbandonato i locali della protezione civile per un disperato corteo verso il Duomo. Sei chilometri. La neve. Le valigie.

E oggi, dopo una notte trascorsa in una sede istituzionale, Palazzo Isimbardi, forse il nuovo prefetto, non fosse altro che per non rischiare una figuraccia mondiale – profughi in piazza Duomo – avrà la forza di suggerire ai gretti amministratori comunali di aprire le porte di quella scuola, tanto più che il comune è proprietario ma l’ha concessa in uso alla Provincia in base alla legge 23/96. L’unica buona notizia, ma giustamente poco importa ai rifugiati del centro Africa, è che finalmente la sola istituzione milanese che non è in mano alla destra ha saputo smarcarsi nettamente dai razzisti che da quasi quindici anni stanno di casa a Palazzo Marino. Ma cambiare inquilino sarà comunque difficile, se in merito a una giornata assurda come ieri la speranza dell’Unione – Bruno Ferrante – non ha ancora trovato cinque minuti per far sentire la sua voce.