Audizione di Manlio Dinucci alla Commissione Affari istituzionali e garanzia della Provincia di Pisa
Lunedì 30 gennaio 2006 la commissione Affari istituzionali e garanzia della Provincia di Pisa ha discusso della base statunitense di Camp Darby. Di seguito il testo dell’intervento di Manlio Dinucci, invitato da Donatella Salcioli, consigliera provinciale dei Verdi.
Informativa su Camp Darby / Relazione di Manlio Dinucci alla audizione della Commissione Affari Istituzionali e Garanzia della Provincia di Pisa (30 gennaio 2006)
Camp Darby fa parte del sistema delle basi Usa in Italia, le cui dimensioni possono essere dedotte dal rapporto ufficiale del Pentagono Base Structure Report 2005: le forze armate statunitensi posseggono nel nostro paese 1.614 edifici, con una superficie di 892 mila metri quadri, e hanno in affitto 1.190 edifici, con una superficie di 886 mila m2. Il personale addetto a tali basi ammonta a 14.000 militari e 5.140 civili, per un totale di circa 20 mila.
Camp Darby, come le altre basi statunitensi in Italia, è sotto il comando dell’Eucom (Comando europeo degli Stati uniti), la cui area di responsabilità (che si estende su circa 55 milioni di km2) comprende l’intera Europa, gran parte dell’Africa e alcune parti del Medio Oriente, per un totale di 91 paesi. La catena operativa di comando va dal Presidente, al Segretario della Difesa, ai Comandanti dei Comandi Unificati di Combattimento. Il Presidente dei Capi Congiunti del Personale (Joint Chiefs of Staff) operano all’interno della catena di comando trasmettendo ai Comandanti dei Comandi Unificati di Combattimento gli ordini del Presidente o del Segretario della Difesa.
Come documenta un altro rapporto ufficiale del Pentagono (Report on Allied Contributions to the Common Defense, July 2003), l’Italia contribuisce per il 34% al costo economico del mantenimento di basi e forze statunitensi sul nostro territorio: il contributo annuo italiano, ammontante a 324 milioni di dollari nel 2001, è oggi sicuramente superiore a tale cifra.
Camp Darby è la base logistica che rifornisce le forze terrestri e aeree Usa nell’area mediterranea, nordafricana e mediorientale. Secondo il rapporto Base Structure Report 2005, essa comprende 136 edifici con una superficie di 60 mila metri quadri.
E’ l’unico sito dell’esercito Usa in cui il materiale preposizionato (carrarmati M1, Bradleys, Humvees, etc.) è collocato insieme alle munizioni, comprese sicuramente quelle a uranio impoverito e quelle al fosforo usate in Iraq.
Secondo lo stesso rapporto, altre strutture per il rifornimento e l’addestramento, comprendenti 327 edifici in proprietà e 58 in affitto, si trovano in tre località in provincia di Livorno e in due in provincia di Pisa.
Con la fine della guerra fredda, Camp Darby, come le altre basi Usa e Nato in Italia, ha acquistato una importanza ancora maggiore. Da qui è partita gran parte degli armamenti e altri materiali usati dall’esercito e dall’aviazione Usa nelle due guerre contro l’Iraq e in quella contro la Jugoslavia.
Ora, nel quadro della ridislocazione delle forze e basi statunitensi dall’Europa settentrionale e centrale a quella meridionale e orientale, il Pentagono ha necessità di aumentare l’efficienza della base. Da qui «l’ammodernamento degli impianti», di cui ha parlato l’ambasciatore degli Stati uniti Ronald Spagli durante la visita a Pisa il 26 gennaio. Anche se la base non verrà ampliata, essa avrà certamente bisogno di maggiori infrastrutture di supporto.
Fin qui la “scheda” su Camp Darby. Cerchiamo di capire ora perché questa base costituisce una fonte continua di pericoli.
Tutto inizia nel 1951, quando il governo De Gasperi stipula con quello statunitense un accordo segreto cedendogli una vasta area della pineta di Tombolo per costruirvi Camp Darby.
La funzione di questa base non è stata però solo quella di supporto logistico alle forze statunitensi. Dalle inchieste dei giudici Casson e Mastelloni emerge che Camp Darby ha svolto sin dagli anni Sessanta la funzione di base della rete golpista costituita dalla Cia e dal Sifar nel quadro dei piani segreti «Stay Behind» e «Gladio».
Camp Darby fa parte di un triangolo militare: a fianco della base vi sono una stazione statunitense di ascolto radio e il Cisam, l’ex Camen: qui, come rivela l’ex ministro della difesa Lelio Lagorio nel suo libro “L’ora di Austerlitz”, si progettò segretamente nel 1980 di costruire l’atomica italiana.
Camp Darby ha con tutta probabilità a che vedere anche con la tragedia del Moby Prince del 10 aprile 1991, in cui perirono 140 persone: quella notte nel porto di Livorno era in corso una operazione segreta di trasbordo di armi dirette probabilmente in Somalia (come documenta Enrico Fedrighini in “Moby Prince”, ed. Paoline).
Nell’agosto 2000 a Camp Darby si rasentò la catastrofe. Sull’episodio, già segnalato dalla organizzazione statunitense Global Security, emerge ora la prova definitiva. Essa viene fornita non da una organizzazione non-governativa, ma da una rivista ufficiale dell’aeronautica statunitense, Air Force Civil Engineer, che siamo riusciti a reperire. Nell’edizione della primavera 2001, il capitano Todd Graves fornisce un dettagliato resoconto (dal titolo Moving Munitions) di quanto avvenuto a Camp Darby (v. Appendice).
A causa del cedimento dei soffitti di otto depositi di munizioni, si creò una situazione di emergenza: in dodici giorni, nell’agosto 2000, si dovettero rimuovere con robot telecomandati (data la pericolosità dell’operazione) oltre 100 mila munizioni, con un peso netto esplosivo di oltre 240 quintali. Senza che le autorità civili e la popolazione fossero informate. Quando invece, per rimuovere una vecchia bomba della seconda guerra mondiale trovata in qualche campo, si evacua la popolazione da tutta la zona circostante.
The Shell Agreement – il memorandum d’intesa tra i ministeri della difesa di Italia e Usa sull’uso di installazioni/infrastrutture da parte delle forze statunitensi in Italia, stipulato nel febbraio 1995 durante il governo Dini – stabilisce che all’interno delle basi «il comandante statunitense ha il pieno comando militare sul personale, gli equipaggiamenti e le operazioni statunitensi», ma che «il trasferimento di materiale pericoloso (carburante, esplosivi, armi) nello spazio territoriale italiano» deve avvenire in «conformità alla legislazione italiana» (art. 16). Poiché il comandante statunitense di Camp Darby sostiene che quello è « territorio italiano a tutti gli effetti» (v. conferernza stampa dell’1-12-2005), ciò significa che Camp Darby viola la legislazione italiana. Oppure che Camp Darby non è territorio italiano.
Occorre considerare, per di più, che Livorno è uno degli 11 porti nucleari italiani (Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Maddalena, La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto e Trieste), in cui possono attraccare unità navali di superficie e sottomarini a propulsione nucleare (per la maggior parte statunitensi, in quanto la marina italiana non ha unità a propulsione nucleare).
I piani di emergenza militari e civili, entrambi finora “classificati”, risalgono alla fine degli anni Settanta e non non risultano aggiornati. Soprattutto la popolazione non ne è informata, per cui in caso di incidente sarebbe assolutamente impreparata. Manca inoltre qualsiasi copertura assicurativa per i cittadini nel caso di incidente.
Vi è poi la questione dell’impatto ambientale della base: si sa che, tra i siti di cui è prevista la bonifica in provincia di Pisa, circa la metà si trova all’interno di Camp Darby. Questa però probabilmente è solo la punta dell’iceberg: occorrerebbe quindi passare al setaccio la base per accertare quale sia il suo reale impatto ambientale.
Impatto non solo ambientale ma politico. Quale sia il ruolo delle basi statunitensi in Europa, e quindi anche di quelle in Italia, risulta evidente dal Rapporto presentato il 9 maggio 2005 al Presidente e al Congresso degli Stati uniti dalla Commission on Review of Overseas Military Facility Structure of the United States.
«La rete globale delle basi statunitensi – si afferma nel rapporto – è lo scheletro su cui si modellano la carne e i muscoli della nostra capacità operativa», il cui scopo principale è quello di «perseguire i nostri interessi nel mondo». In tale quadro «la presenza statunitense in Europa resta cruciale».
Le basi Usa in Italia ed Europa costituiscono i Forward Operating Sites (Siti operativi avanzati) che, «mantenuti in caldo con una limitata presenza militare statunitense a carattere rotatorio», sono rapidamente «espandibili» per operazioni militari su larga scala in una vasta area comprendente, oltre all’Europa orientale, il Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Africa.
Importante a tal fine è il «preposizionamento» di armamenti ed equipaggiamenti, così che le forze che arrivano dalle basi negli Stati uniti e in altri paesi possano essere immediatamente dotate di tutto il necessario per la guerra. Tra i più importanti siti del preposizionamento statunitense figurano Aviano, Livorno e Sigonella.
Contemporaneamente – sottolinea il rapporto – le basi statunitensi in Italia ed Europa servono a «mantenere l’influenza e la leadership statunitensi nella Nato: nella misura in cui rimangono in Europa significative forze statunitensi, la leadership può essere mantenuta».
E’ dunque un documento ufficiale al massimo livello a dichiarare esplicitamente che la presenza militare statunitense in Europa serve non solo a proiettare forze nelle aree di interesse strategico, ma a mantenere l’Europa sotto la leadership statunitense.
Tutto questo risulta dagli stessi documenti ufficiali statunitensi.
La base è dunque un corpo estraneo e dannoso in un territorio la cui vocazione deve essere quella economica e turistica: vocazione che viene danneggiata dal fatto che il potenziamento della base comporta una militarizzazione del territorio, soprattutto nei momenti di crisi.
Da qui la necessità dello smantellamento della base e della riconversione a usi esclusivamente civili del territorio che essa occupa.
In tale quadro si inseriscono le quattro richieste alle amministrazioni locali di Pisa e Livorno e alla Regione Toscana, che il Comitato unitario per lo smantellamento e la riconversione a scopi esclusivamente civili della base di Camp Darby ha presentato nell’incontro svoltosi il 29 novembre 2005 nella sala della Provincia di Livorno:
1) Quali strumenti s’intendono adottare per un possibile monitoraggio ambientale indipendente delle attività della base? È possibile costituire un gruppo di lavoro in grado di preparare uno specifico piano di prevenzione ed evacuazione delle popolazioni in caso di incidente grave nella base di Camp Darby?
2) Il porto di Livorno è inserito nella lista degli 11 porti italiani che ricevono unità navali a propulsione nucleare e/o trasportanti armi nucleari . In base al decreto legislativo 230 del 1995 i cittadini debbono sapere se vivono in un’area a rischio nucleare. Attraverso quali strumenti politici ed istituzionali le amministrazioni comunale e provinciale di Livorno hanno intenzione di premere sulla Prefettura perché finalmente realizzi e distribuisca alla popolazione il suddetto piano di evacuazione?
3) Chiediamo che la Regione Toscana assuma lo stesso atteggiamento di ostruzionismo all’interno del Comitato Misto Paritetico per ogni tipo d’attività inerente la base di Camp Darby, conformemente all’atteggiamento tenuto dalla Regione Sardegna.
4) Proponiamo l’assunzione da parte delle amministrazioni locali dell’obiettivo della “Riconversione preventiva” della base Usa di Camp Darby, cioè di un atteggiamento politico e operativo che pianifichi sin da subito, e cioè prima dell’effettiva partenza delle truppe statunitensi, le condizioni per il ripristino dell’area ad uso esclusivamente civile.