La giornata della protesta politica della comunità sunnita, ieri a Baghdad – ma anche la giornata in cui si è rotta la relativa calma che durava da una decina di giorni, dovuta al dispiegamento eccezionale di forze americane durante le elezioni e alla tregua informale osservata dalla resistenza nazionalista irachena (ma non da quella definita al-Qaeda). La protesta politica. Almeno diecimila persone, riferiscono le agenzie di stampa internazionali, hanno manifestato ieri nella capitale al termine della preghiera principale del venerdì, quella di metà giornata. I manifestanti portavano la bandiera nazionale (nero, bianco e rosso) e i ritratti di leader politici sunniti, e scandivano lo slogan «No all’America». Chiedevano che siano ripetute le elezioni parlamentari.
Il corteo ha attraversato la parte occidentale della città, poi alcuni leader sunniti si sono rivolti ai manifestanti dalla balconata di un edificio sorvegliato da uomini armati sul tetto. «Usano questi falsi risultati elettorali per sostenere che siamo minoranza in questo paese», ha detto Adnan al-Dulaimi, un dirigente del Fronte dell’Accordo Iracheno, la principale formazione politica sunnita. Una ventina di partiti, tra cui il maggiore blocco sunnita arabo laico, hanno formalmente chiesto di ripetere il voto e minacciano di boicottare il nuovo parlamento. Un altro dirigente del Fronte dell’Accordo ha lasciato intendere però che le cose sono trattabili: Hussein al-Falluji ha detto che la marcia è una prova di forza nei confronti della Commissione elettorale e del governo filoamericano, per mostrare la capacità di mobilitazione dei partiti sunniti: ma «la porta è ancora aperta a una soluzione», e «un accordo potrebbe essere raggiunto prima che siano annunciati i risultati definitivi».
Sempre ieri, il segretario alla difesa degli Stati uniti Donald Rumsfeld ha compiuto una visita prenatalizia, e non annunciata, alle truppe Usa in Iraq. E ha colto l’occasione per dire che gli effettivi militari saranno ridotti, nei primi mesi del 2006: le truppe da combattimento diminuiranno di due brigate, circa 7.000 persone, mentre aumenteranno i militari impegnati nell’addestramento delle forze armate irachene. Non è chiaro dunque quanto diminuiranno in effettivi, in generale: nelle ultime settimane sono arrivati al record di circa 160mila soldati per mantenere la sicurezza durante le elezioni, ma era già annunciato che torneranno presto al numero usuale di 138mila. Rumsfeld però se la rivende in altro modo: l’imminente diminuzione degli effettivi, dice, è «un riconoscimento dei progressi degli iracheni nell’assumersi la responsabilità della sicurezza nel loro paese».
Mentre il segretario alla difesa americano parlava, la guerriglia irachena stava lanciando un attacco a nord di Baghdad, il più pesante delle ultime settimane. L’obiettivo era una base dell’esercito iracheno a Adhaim, 70 chilometri a nord di Baghdad, sulla strada principale che conduce a Kirkuk. Almeno dieci soldati sono stati uccisi e 20 feriti, secondo la polizia irachena. L’attacco è cominciato all’alba con un cannoneggiamento di mortaio, poi uomini hanno attaccato la postazione; quando sono arrivati i rinforzi gli insorti hanno attaccato anche loro: il combattimento è durato l’intera mattina. Nella zona di Adhaim sono attivi sia la resistenza nazionalista laica, sia gruppi islamici.
Un altro attacco, questa volta suicida, ha coinvolto una moschea shiita a Balad Ruz, città pure a nord di Baghdad. Un uomo in bicicletta ha cercato di entrare nel cortile della moschea, dove un migliaio di persone erano raccolte in preghiera; bloccato, si è fatto saltare uccidendo 10 persone.
Sul fronte dei rapimenti, ieri sei cittadini sudanesi, tra cui un diplomatico, sono stati sequestrati dopo la preghiera del venerdì. Lo ha confermato il ministero degli esteri del Sudan. Non ci sono notizie dei quattro operatori del Christiam Peacemakers Teams rapiti a Baghdad. Così le famiglie dei quattro – due britannici, un americano e un canadese – hanno lanciato un appello sulle radio e i quotidiani iracheni. «Un mese è passato da quando i nostri cari – Norman, James, Harmeet e Tom – sono stati rapiti in Iraq», dice l’annuncio: «Molti clerici e figure religiose del mondo arabo e musulmano hanno parlato nelle scorse settimane del buon lavoro che stavano facendo in Iraq e che la loro organizzazione ha fatto in Palestina, e hanno fatto appello per il loro rilascio».