La proposta Bush sull’immigrazione: visti a caro prezzo

Ha scelto Yuma, Arizona, dove il muro che divide il confine tra Messico e Stati Uniti è già finito, per tornare a parlare di immigrazione. Il presidente Bush prova a mettere mano a una delle questioni calde della politica statunitense nella speranza di produrre qualche risultato bipartisan. Non avrà vita facile nemmeno in questo. Se lo scorso anno Camera e Senato (con la maggioranza in mano ai repubblicani) avevano partorito leggi in conflitto tra loro, oggi in teoria ci sarebbe la possibilità di una mediazione. Tanto più che il testo della Camera alta era di compromesso e prevedeva una sanatoria, sebbene non generalizzata. Ora il presidente, che deve cercare di solleticare la parte più destrorsa del suo elettorato, punta a far accetttare ai democratici un testo peggiore di quello di compromesso. Prima di oggi le uniche scelte fatte sono l’aumento delle pattuglie lungo il confine, l’utilizzo della guardia nazionale per compiti di polizia di frontiera e la costruzione del muro.
La proposta del presidente prevede che gli immigrati senza documenti possano richiedere un visto di nuovo tipo denominato Z, di durata triennale e dal costo di 3500 dollari (da ripagare a ogni rinnovo). Se volessero cercare di ottenere la green card, la carta verde che consente di risiedere in maniera permanente negli Usa, dovrebbero tornare a casa, fare domanda e pagare la bellezza di 10mila dollari. Entrambi i costi sono enormi per lavoratori impiegati in settori dai bassi salari come l’edilizia, la ristorazione, le pulizie. I ricongiungimenti familiari sarebbero limitati, e i lavoratori temporanei (quelli del visto Z) non potrebbero ottenere visti per i familiari in nessun caso. Un approccio duro che, accompagnato dai controlli alle frontiere, ai raid nei posti di lavoro, avrebbe l’effetto di rendere l’immigrazione più nascosta di oggi. Il discorso del presidente a Yuma è stato incentrato sull’importanza di controllare le frontiere e sul tentativo di vendere il risultato al suo elettorato. Del resto, uno dei concorrenti alla nomination repubblicana, il senatore Tom Tancredo, ha impostato la sua campagna sul pericolo latino e sulla necessità di usare la mano pesante per sconfiggerlo. Tancredo è sempre stato contrario al compromesso raggiunto al Senato tra i senatori Kennedy e McCain, altro candidato alle primarie, al momento defilato sulla questione. E’ agli elettori terrorizzati del Sud che parlava ieri Bush. Gli resta uno zoccolo del 30-40% dei consensi e deve ercare di solleticarlo. L’elettorato di origine latina, di solito più vicino ai repubblicani – che lo stratega di Bush Karl Rove vedeva come un pilastro della maggioranza stabile che intendeva costruire – sembra avergli voltato le spalle. Tanto più lo farà se il presidente continuerà a cercare di far approvare la sua proposta. Lo scorso sabato migliaia di immigrati e cittadini di origine ispanica sono tornati a manifestare a Los Angeles, segno che il movimento dello scorso anno non è scomparso e che si oppone alla proposta di Bush.
Il presidente ha anche annunciato che è suo obbiettivo firmare una legge di riforma entro l’anno. Gli ostacoli sono molti, il primo è la maggioranza democratica. Il partito di Pelosi ha infatti una sua proposta, molto più liberale che prevede una regolarizzazione in cambio di una multa da 500 dollari e la prova di avere un lavoro. Dopo sei anni, con una seconda multa da 1500 dollari, un esame di inglese e la fedina penale pulita, si potrebbe richiedere la residenza permanente. La filosofia, anche in altri particolari, è opposta a quella di Bush ma incontra anche qualche resistenza tra gli eletti democratici negli stati del Sud e del midwest. Questi, che spesso sono eletti per pochi voti da elettorati moderati e preoccupati per la crisi occupazionale, preferirebbero rimandare la discussione a dopo l’elezione del nuovo presidente. Più in generale, la nuova maggioranza concordando la legge con Bush consentirebbe al presidente di ottenere un risultato. Finché la partita sull’Iraq resta tanto tesa, difficilmente Pelosi e Reid tenderanno una mano al presidente.