Due colpi all’estrema destra e uno al centro. In una sola settimana, Nicolas Sarkozy, ormai tallonato dal «terzo uomo» François Bayrou, cerca di sedurre l’elettorato del Fronte nazionale, pur cercando di mantenere delle «garanzie» al centro. E’ il significato delle mosse degli ultimi giorni del candidato all’Eliseo dell’Ump: ha affermato di voler istituire, se sarà eletto, un nuovo «ministero dell’immigrazione e dell’identità nazionale», ha assicurato a Jean-Marie Le Pen che farà di tutto perché il candidato del Fronte nazionale abbia le 500 firme di già eletti (sindaci, consiglieri degli enti locali) necessarie per poter essere presente al primo turno e, per bilanciare, ha ottenuto con gran frastuono il sostegno della centrista Simone Veil, una personalità politica centrista dalla buona immagine.
Lunedì verranno pubblicati nuovi sondaggi, che preoccupano Sarkozy (e anche Royal): Bayrou li tallona entrambi e lo scarto si riduce, rendendo sempre più incerto il risultato del primo turno. Così, Sarkozy corteggia l’elettorato di estrema destra, riserva di voti che stanno diventando indispensabili. Prima di tutto, c’è stata la questione delle «firme»: Jean-Marie Le Pen, che teme, dai sondaggi, di ottenere molti meno voti che nel 2002 (quando andò al ballottaggio), sta ricattando il sistema, affermando che la procedura dei «patrocinii» dei già eletti è ingiusta, poiché i sindaci sono sotto ricatto da parte dei grandi partiti. Sarkozy, che continua a mantenere la carica di ministro degli interni – cioè colui che gestisce il corretto svolgimento delle elezioni – promette le «firme» a Le Pen (e al trotzkista Besancenot, dimenticando tutti gli altri che stentano a raccoglierle, dalla verde Dominique Voynet all’altermondialista José Bové). E’ questo un modo per disinnescare una bomba a scoppio ritardato, cioè la critica radicale del sistema elettorale, e al tempo stesso un’opera di seduzione per raccogliere i voti estremisti al secondo turno.
Ma Sarkozy ha fatto di più: con la proposta del «ministero dell’immigrazione e dell’identità nazionale» ha ripreso letteralmente un’idea tradizionale dell’estrema destra, secondo la quale «la Francia o l’ami o la lasci». Mettere in stretta relazione «immigrazione» e «identità nazionale» significa affermare che gli immigrati minano l’identità nazionale, che non sono «integrabili», a parte coloro che accettano di assimilarsi all’identità francese. Di qui le proposte di Sarkozy, venute dritto dritto dall’ideologia lepenista: una nuova legge per limitare ancora i «ricongiungimenti famigliari», permessi solo quando l’immigrato regolare potrà dimostrare di poter fonire un alloggio adeguato («perché non ci siano più squat»), di avere un reddito sufficiente per mantenere congiunto e figli e, ultima condizione per i famigliari, che «abbiano appreso rudimenti di francese prima di venire in Francia».
Jean-Marie Le Pen è contento: rifiutare di «associare immigrazione e identità nazionale», ha detto, significa negare che «l’immigrazione possa ledere l’identità nazionale, mentre si tratta di una terribile realtà».
Dopo «i musulmani che sgozzano i montoni nel bagno» è il secondo grosso scarto di Sarkozy sull’immigrazione durante questa campagna. Per Bayrou, Sarkozy ha ormai oltrepassato «una frontiera» e «rimette in discussione i principi repubblicani più elementari». Il socialista François Hollande teme che «Sarkozy abbia avviato un flirt spinto con le tesi del Fronte nazionale». Per Ségolènhe Royal, «mai i lavoratori immigrati hanno minacciato l’identità francese. Trovo abbastanza ignobile fare questo amalgama». Secondo la comunista Marie-George Buffet, questa proposta «rinvia alle epoche più oscure della nostra storia, risveglia l’epoca di Vichy per venire incontro alle tesi xenofobe e razziste del Fronte nazionale». La posizione è «ignobile» per Voynet. Le associaioni umanitarie sono indignate. L’imbarazzo regna anche nelle file dell’Ump.
In pochi si sono azzardati a prendere le difese della proposta di Sarkozy. Lo ha fatto una dei portavoce, Rachida Dati, secondo la quale «non c’è niente di choccante», ma solo la denuncia del fatto che «la Francia soffre da più di vent’anni del fallimento della politica di integrazione».