La precaria ripresa dell’occupazione

Se l’economia è in ripresa non è affatto chiaro, certo è che l’unica cosa che si muove nel mercato del lavoro sono per ora solo i tempi determinati, i lavoratori stranieri e quelli part time. La conferma viene dai risultati della rilevazione sulle forze di lavoro diffusi ieri dall’Istat relativi al quarto trimestre del 2006 e alla media di tutto il 2006. Dal confronto con il corrispondente trimestre del 2005 emerge una crescita del numero degli occupati (ossia di quanti hanno svolto almeno un’ora di lavoro nella settimana precedente l’intervista) di circa 333 mila unità (+1,5%), più della metà dei quali costituiti da occupati a tempo determinato, poco meno della metà da cittadini stranieri e per oltre il 40% da impieghi part-time. I tre quarti dell’aumento dell’occupazione è inoltre concentrato nelle regioni del nord (+2,1%), mentre nel centro e nel meridione l’incremento è stato margnale e i tassi di crescita sono inferiori al +1%.
Il contributo dei cittadini stranieri alla crescita dell’occupazione è in parte (ma in misura ormai decrescente) un effetto delle regolarizzazioni, ed è stato particolarmente sostenuto per la componente maschile: i +121 mila occupati maschi stranieri superano in valore assoluto l’ammontare complessivo dell’aumento dell’occupazione maschile (+117 mila unità) che ha avuto luogo rispetto al quarto trimestre 2005.
La partecipazione al mercato del lavoro nell’ultimo anno è rimasta invariata: il 62,9% della popolazione in età compresa fra 15 e 64 anni o è occupata o ricerca attivamente lavoro. Si tratta di un valore relativamente basso, specie se confrontato con quanto avviene nel resto dell’Ue, soprattutto a causa dei modesti tassi di attività femminili. In proposito è allarmante l’ulteriore peggioramento nelle regioni del sud della partecipazione femminile (ma anche maschile): solo il 37,5% delle donne meridionali è occupata o cerca attivamente lavoro, con una diminuzione di 0,8 punti rispetto a un anno prima, corrispondenti a circa 50 mila unità. Segno evidente di un mercato del lavoro che non funziona e che continua ad essere lasciato a sé stesso: un fatto grave, visto che l’aumento della partecipazione femminile è uno dei cardini delle politiche comunitarie. Questo effetto è particolarmente evidente in Campania, dove il tasso di attività complessivo (maschile e femminile) è diminuito in un anno di ben due punti percentuali e adesso è inferiore al 50%. Il tasso di attività femminile peraltro scricchiola anche nelle regioni del centro.
Come risultato dell’aumento degli occupati e della stasi delle forze di lavoro si è prodotta una ulteriore riduzione del tasso di disoccupazione sceso al 6,9% dall’8% di un anno fa. La riduzione è stata particolarmente sostenuta nelle regioni del sud, dove la disoccupazione è scesa al 12,2%, 2,1 punti in meno in un anno: questo risultato non è però una buona notizia, visto che è dovuto non tanto all’aumento degli occupati (+60 mila unità) quanto piuttosto a una consistente riduzione delle forze di lavoro (-110 mila unità).
Tornando agli occupati, buona parte dell’aumento riguarda posizioni di lavoro dipendente (+242 mila unità), ma di queste solo 51 mila sono a tempo indeterminato e si tratta quasi esclusivamente di posti part-time (+50 mila). Gli altri 191 mila posti in più sono tutti a tempo determinato, per lo più concentrati nel centro-nord e nei settori dei servizi. Lo stesso accade per le posizioni part time (+105 mila), dove è prevalente la componente femminile. A connotare il carattere di questa nuova occupazione vi è anche la riduzione delle ore di lavoro: il 22% degli occupati lavora meno di 30 ore settimanali e il 2,4% meno di 10 ore, tutti indicatori in crescita rispetto allo scorso anno..