La politica dell’Amministrazione Obama minaccia l’umanità

Traduzione a cura della redazione di http://www.lernesto.it

Miguel Urbano Rodrigues (1925), figura storica del comunismo portoghese, è un noto giornalista e scrittore, autore di decine di pubblicazioni. In passato e’ stato caporedattore di Avante, organo del Partito Comunista Portoghese e direttore del giornale O Diario. E’ stato deputato del PCP nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. Tra gli editori di Odiario.info (a cui collaborano prestigiosi intellettuali progressisti di molti paesi), dirige oggi l’autorevole sito antimperialista Resistir.info.

Le recenti iniziative del governo USA confermano che l’attuale Amministrazione, lungi dal rinunciare a una strategia di dominazione, si propone di ampliarla su molteplici fronti. Ciò che pareva impossibile un anno fa sta accadendo: la politica estera di Obama è più aggressiva e pericolosa in Asia, Africa e America Latina di quanto lo fosse quella di Bush.

Questa realtà non è ancora evidente alle grandi maggioranze, influenzate dalla campagna su scala mondiale che presenta il presidente degli USA come un politico progressista e un difensore della pace.
Ma gli atti sono lì a smentire le promesse e la retorica.
I media occidentali dedicano la minima attenzione a iniziative che si inseriscono nell’espansione planetaria del militarismo statunitense. Ma il silenzio non impedisce che ciò rappresenti una realtà.
La recente visita nei paesi africani del generale William Garnett – è un esempio – è passata praticamente inosservata. Accade che questo capo militare vi si sia recato a dare impulso ad AFRICOM, sigla che indica il comando dell’esercito permanente degli USA destinato all’Africa. La missione del generale Garnett è consistita precisamente in contatti ad alto livello aventi l’obiettivo di trovare una sede per tale esercito, la cui creazione è stata decisa da anni.
Si sa che fino ad ora solamente due paesi, la Liberia e il Marocco, hanno mostrato disponibilità a ricevere AFRICOM. Il generale, nel frattempo, si è trovato di fronte il rifiuto frontale della Comunità per lo viluppo dell’Africa del Sud, SADC, organizzazione che riunisce 15 paesi del Sud del Continente, inclusi Angola e Mozambico.
Sono due gli obiettivi di AFRICOM. Secondo la Casa Bianca il principale sarebbe rappresentato dalla lotta al terrorismo e dal rafforzamento dei “regimi democratici” della Regione. L’altro consisterebbe nell’incentivare le relazioni economiche degli USA con l’Africa.
In realtà questo esercito è stato concepito come forza di intervento per appoggiare governi alleati del Continente nella loro lotta contro movimenti progressisti. Parallelamente, la presenza militare degli USA creerebbe condizioni molto favorevoli al controllo del petrolio e delle enormi risorse minerarie africane.
Poiché non si è ancora deciso quale paese sarà sede di AFRICOM, il Pentagono mantiene forze nelle Seychelles e a Gibuti (ex Somalia francese). Sono partiti da lì gli aerei senza pilota (i famosi droni) che hanno bombardato la Somalia. Il generale William Ward, di AFRICOM, ha affermato recentemente che la Somalia è oggi un “obiettivo centrale dell’esercito USA nel Continente”.
Nello stesso tempo la NATO estende la sua presenza nell’Oceano Indiano.

Yemen

L’avvio della nuova strategia USA per l’Oceano Indiano e il Corno d’Africa è stata accompagnata all’inizio di gennaio da un’intensa offensiva mediatica.
L’attentato terroristico fallito di un nigeriano contro l’aereo della Norwest Arlines che si stava dirigendo a Detroit ha fatto da leva ad una campagna che strumentalizzando i supposti legami del giovane, ha catapultato lo Yemen sulle prime pagine della comunicazione sociale. Da un giorno all’altro il dimenticato paese del sud est della Penisola Arabica si è trovato ad essere segnalato come il fuoco principale di Al Qaeda e come una minaccia alla sicurezza degli USA.
Un torrente in piena di informazioni false si è rovesciato sul pianeta, in una ripetizione di quanto era accaduto nel 2003 alla vigilia dell’aggressione all’Iraq, quando Washington costruì il mito delle “armi di distruzione di massa” come pretesto per l’invasione.
Il generale Petraeus, comandante supremo USA per il Medio Oriente e l’Asia Centrale, ha visitato Sanaa, dove ha promesso al presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, un alleato, un consistente aumento dell’ “aiuto” nordamericano che già l’anno scorso era arrivato a 67 milioni di dollari.
Il presidente Obama, a Washington, ha parlato di “pericolo yemenita” e il primo ministro britannico Gordon Brown, si è affrettato ad allinearsi alla Casa Bianca e il 3 gennaio ha dichiarato in un’intervista a BBC: “dobbiamo fare qualcosa di più nello Yemen e in Somalia”.
Quasi simultaneamente, il consigliere di Obama per la sicurezza nazionale e l’antiterrorismo, John Brennan, è andato ancora oltre: “trasformeremo lo Yemen – ha affermato – in una priorità per l’anno in corso”.
Intanto, l’aggressione militare precedeva queste dichiarazioni ufficiali.
Né Obama, né Petraeus, né Brennan hanno rivelato che la forza aerea USA aveva bombardato intensamente il territorio yemenita in dicembre con missili Cruise e aerei senza pilota in azioni coordinate con l’esercito dell’Arabia Saudita.
In un ben documentato articolo, diffuso da Global Research, Rick Rozoff rivela i particolari di queste azioni militari e delle iniziative politiche che hanno accompagnato la scalata imperialista nello Yemen.
La chiusura, seguita dall’immediata riapertura, delle ambasciate degli USA, del Regno Unito e della Francia, è stata una farsa allestita con l’obiettivo di impressionare i nordamericani e gli europei e di neutralizzare le eventuali azioni di protesta contro l’apertura di un nuovo fronte di guerra nello Yemen.
I guerriglieri delle tribù houthis, sciiti, che combattono il governo di Saleh nel Nord, sono presentati da Washington come pericolosi terroristi di Al Qaeda. Lo stessa cosa accade con le forze del Partito Socialista dello Yemen che, nel Sud, lottano per l’autonomia che viene negata.
Secondo portavoce houthis, l’Arabia Saudita ha sparato in dicembre più di mille missili contro i loro accampamenti in una guerra non dichiarata. Il numero delle vittime civili dei bombardamenti nordamericani nell’area sarebbe molto elevato.
“Con il pretesto di proteggere il territorio degli Stati Uniti da questa entità vaga e di incerta localizzazione (Al Qaeda) – scrive Rick Rozoff – il Pentagono è coinvolto in operazioni militari che vanno dall’Occidente africano all’Est dell’Asia contro gruppi di sinistra ed altri, non legati ad Obama Bin Laden, nelle Filippine e nello Yemen, le milizie sciite in Libano e nello Yemen, le ribellioni etniche nel Mali e nel Niger, e una ribellione cristiana estremista in Uganda”.

Scalata globale

L’installazione di sette basi militari nordamericane in Colombia si inserisce in questa scalata militarista globale. Anche in America Latina la strategia dell’attuale amministrazione degli Stati Uniti è più aggressiva e irrispettosa della sovranità dei popoli di quella dei governi precedenti.
Il discorso farisaico del presidente Obama funziona, però, come un anestetico delle coscienze, rendendo molto difficile la percezione della minaccia che rappresenta la politica orientata al dominio dell’umanità del sistema di potere imperiale.
Si mantiene il discorso di facciata progressista, ma ogni settimana esso viene contraddetto dai fatti. Le misure annunciate nel settore finanziario per punire gli abusi dei banchieri di Wall Street e la corruzione dei signori della finanza sono, concretamente, un esempio dell’ipocrisia del discorso presidenziale. Da quando ha assunto le sue funzioni, la politica finanziaria di Obama è stata orientata non alla solidarietà con la vittima della crisi – il popolo degli Stati Uniti – ma alla salvezza dei responsabili, i banchieri e le grandi imprese sull’orlo del fallimento.
Avendo perso l’egemonia economica esercitata nella seconda metà del XX secolo, il sistema di potere statunitense tenta, attraverso la scalata militarista e il saccheggio delle risorse dei popoli del vecchio Terzo Mondo, di prolungare la dominazione dell’imperialismo su scala universale, superando con la violenza la crisi strutturale che lo affligge e che ne minaccia l’esistenza.
In questo contesto, la politica estera dell’Amministrazione Obama rappresenta per l’umanità la più pericolosa minaccia da essa affrontata dai tempi del III Reich tedesco.
Per lottare vittoriosamente contro questa minaccia è imprescindibile che decine di milioni di donne e uomini progressisti sulla Terra prendano coscienza di questa realtà.